UN MIRTO CON... MICHELE CANINI
Ha comandato per sette lunghe stagioni la retroguardia del Cagliari, giocando spesso in coppia con l’indimenticabile e compianto Davide Astori. Ha vissuto l’incredibile salvezza sotto la guida di Ballardini, l’epopea del David Suazo massimo goleador rossoblù in una stagione di serie A con 22 reti, la squadra sbarazzina e arrembante di Massimiliano Allegri che nel 2008-2009 incantò l’Italia e sfiorò la qualificazione alle coppe europee.
Michele Canini serba sempre nel cuore il ricordo della sua esperienza nell’Isola, condita di tante soddisfazioni e anche di qualche piccolo rimpianto.
Ripercorrendo le tappe della sua militanza di lungo corso nel club rossoblù, qual è il Cagliari in cui ha giocato al quale è rimasto più legato?
“Bene o male ricordo con estremo piacere tutte le stagioni trascorse in Sardegna: ognuna di esse è stata foriera di grandi emozioni e soddisfazioni, dal momento che abbiamo sempre centrato l’obiettivo della salvezza, alternando periodi difficili ad altri esaltanti. Se devo prendere un’annata in particolare, scelgo la sensazionale salvezza ottenuta con Ballardini nel 2008. Dopo il girone d’andata sembravamo spacciati, invece abbiamo disputato un girone di ritorno formidabile, collezionando prestazioni e risultati eccezionali fino a realizzare quella che pareva un’utopia.”
Una domanda che tutti i tifosi ancora si fanno è: come fece Ballardini quell’anno a invertire la rotta di una squadra apparentemente alla deriva? Che correttivi tattici e che apporto psicologico-emotivo diede a un gruppo disarmato e sull’orlo di una crisi di nervi dopo il girone d’andata?
“Intanto cambiò subito l’impostazione tattica, passando stabilmente al 4-3-1-2 dal 4-3-3 o 4-4-2 che adottavano i precedenti allenatori. Inserì il trequartista dietro le punte, sfruttando l’estro e la fantasia di Andrea Cossu e varando un modulo che poi sarebbe diventato il marchio di fabbrica del Cagliari degli anni successivi. Cominciammo a giocare con tre uomini d’attacco e trovammo l’assetto giusto.
Inoltre ricordo che i suoi allenamenti erano molto duri e intensi, curava ogni dettaglio ed era preparatissimo e meticoloso. Il gruppo lo seguì con entusiasmo… e il resto lo fece quella famosa partita contro il Napoli vinta nel recupero, che per noi rappresentò la svolta della stagione e fu propedeutica ad altre prestazioni e ad altri risultati in serie molto positivi. Le vittorie ci caricavano sempre di più, acquisivamo sempre maggiore consapevolezza nei nostri mezzi e psicologicamente crescevamo partita dopo partita. La testa tante volte fa il novanta per cento del lavoro di un calciatore.
È stata una marcia trionfale, culminata nella gara di Udine in cui ci siamo salvati matematicamente. Solo un neo a livello personale, legato a quella stagione, ancora mi tormenta: pareggiamo per 1-1 a Torino sul campo della Juventus, giocando benissimo, e io ebbi un’occasione clamorosa a tu per tu col portiere, che sbagliai perché preferii la conclusione di precisione - che non era nelle mie corde - alla botta forte e potente. Col senno di poi, piuttosto che piazzare la palla avrei dovuto calciare con più decisione. È uno di quei gol mancati, peraltro dopo un aggancio perfetto in area di rigore, ai quali ripenso ancora dopo tanti anni: un fantasma che non sono riuscito a scacciare. Però alla fine avevamo disputato una grande partita e sfoderato una prestazione maiuscola, portando via un punto che aveva contribuito a fare morale e ad alimentare la rincorsa verso l’obiettivo.”
Il vostro exploit del 2008 non può essere un caso. Anche quest’anno Davide Ballardini sta trascinando la Cremonese, che pareva già retrocessa da mesi, verso un finale di stagione thrilling e tutt’altro che scontato. Questo tecnico sembra fatto su misura per compiere miracoli sportivi al limite dell’impossibile.
“È sicuramente un suo grande talento. C’è da dire che non ha avuto quasi mai l’occasione di allenare una squadra da inizio stagione e di forgiarla a sua immagine e somiglianza, godendo della fiducia della società e dei giocatori.
Anche quest’anno, prendendo una formazione come la Cremonese – a mio parere non all’altezza della categoria – e senza fare mercato è riuscito a tenere vivo fino ad adesso il sogno della salvezza. Sarà molto difficile fare ancora una volta l’impresa, ma lui è molto bravo a mettere i giocatori nelle condizioni di esprimersi al meglio.”
Lei ha giocato anche nel memorabile Cagliari targato Massimiliano Allegri 2008-2009, che alla fine ottenne un pregevole nono posto. Il tecnico livornese passa oggi per essere un allenatore sparagnino, difensivista e votato a un calcio antiestetico. Il vostro Cagliari, però, al contrario praticava un gioco totale, e metteva in difficoltà qualsiasi avversario con la forza del collettivo. Come conciliare il football spumeggiante e garibaldino di quel Cagliari col calcio speculativo della Juventus attuale?
“Questo equivoco si spiega facilmente. Quando è arrivato a Cagliari Max era giovane, e non disponeva dei campioni che può schierare adesso nella Juventus. Per cui puntava maggiormente sulla cura di alcuni dettagli e sulla filosofia del collettivo. Ciascun giocatore sapeva che, se voleva salvarsi, doveva seguire alla lettera i dettami dell’allenatore. Oggi nella Juve ha a che fare con fuoriclasse affermati, per cui magari punta più sulla giocata del singolo che sui movimenti senza palla effettuati per creare delle situazioni tattiche. Quando alleni certi calciatori puoi stare a lavorare sulla tattica per ore e ore, ma poi se il campione ti risolve la partita con un suo guizzo non puoi insegnargli niente. La differenza tra l’Allegri di Cagliari e quello di Torino è tutta qua.
Quest’anno ha avuto una stagione difficile, tra infortuni e problemi extracalcistici - che influiscono non poco dal punto di vista psicologico sull’ambiente - eppure stiamo parlando di una squadra che si trova al secondo posto. Il Napoli è stato a lungo ingiocabile, ma subito dopo i partenopei c’è la Juventus. Certo, nessuno si aspettava l’eliminazione al girone di Champions, ma in quel caso ha influito la condizione fisica non ottimale di alcuni elementi chiave. E poi bisogna sempre ricordare che giovedì la Juve si giocherà l’accesso a una finale di Europa League. Prima di criticare un tecnico è bene aspettare la fine della stagione. Io non definirei quest’annata bianconera un fallimento.
Tornando al Cagliari 2008-2009, è vero che era una squadra molto forte e collaudata in tutti i reparti. Se oggi disputasse il campionato di serie A lotterebbe certamente per un posto in Europa League. Del resto quell’anno c’erano formazioni a noi molto superiori, perché il livello tecnico del torneo era altissimo. Eppure non partivamo mai battuti con nessuno."
Segue ancora il Cagliari? Come giudica la stagione di serie B ormai agli sgoccioli e che chance hanno i rossoblù di imporsi ai playoff?
“Mister Ranieri ha ricompattato l’ambiente, ed è bravissimo a schierare i giocatori in campo. Gli ultimi risultati attestano il buon lavoro che ha svolto. I playoff saranno difficilissimi, anche perché entrano in gioco variabili come lo stato di forma, gli infortuni, la squalifica di alcuni giocatori. Ma se la squadra resterà compatta e concederà poco in difesa poi il gol in un modo o nell’altro lo troverà, per cui può essere una grande insidia per tutte le avversarie che se la troveranno di fronte. Quale il rivale più pericoloso? Dico il Bari, ma anche il Südtirol è una compagine ostica. E pure il Parma potrà dire la sua, nonostante abbia condotto una stagione un po’ altalenante”.