ESCLUSIVA TC - ALESSIO SCARPI: "Che ricordi a Cagliari tra parate, sorrisi e sgambetti alle grandi d'Italia! Oggi alleno i portieri del Genoa. Abbiamo lo stesso obiettivo della squadra di Ranieri: una salvezza tranquilla"
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Esplosività, reattività, straordinaria elasticità e i riflessi di un gatto. Erano queste le caratteristiche di Alessio Scarpi, unitamente a un attaccamento viscerale alla causa e ai colori rossoblù.
Il portiere di Jesolo, dopo aver fatto tutta la trafila nel settore giovanile isolano, ha debuttato in prima squadra, ritagliandosi subito un ruolo da protagonista, nel campionato 1997-’98: la stagione in cui il Cagliari è risorto dalle sue ceneri, riscattando la retrocessione dell’anno precedente e ritrovando brillantemente un posto al sole in serie A.
Sono seguite numerose altre annate in Sardegna, sempre contraddistinte da un rendimento costante e da parate prodigiose che, spesso e volentieri, hanno tracciato il (labile) confine tra la sconfitta e la vittoria.
Oggi Alessio allena i portieri del Genoa. E, assieme al “suo” Cagliari, è risalito in serie A, con la speranza di mettervi radici e di coltivare estremi difensori di alto livello e di sicura affidabilità. Proprio come era lui.
Alessio, ripercorriamo le tappe della sua esperienza in Sardegna. Lei arrivò nel 1990, iniziando il suo percorso nel settore giovanile, per poi debuttare in prima squadra sette anni più tardi e restare saldamente tra i pali rossoblù fino al 2002.
“Quando entrai nel settore giovanile del Cagliari la prima squadra era allenata da Claudio Ranieri, che aveva appena ottenuto la promozione in serie A. Ho un ricordo meraviglioso di quel periodo, anche perché - con mia grande emozione - passavo da una società dilettantistica (la Pasianese, NdA) a una squadra professionistica.
Gli anni nella primavera rossoblù non furono semplicissimi: avevo qualche carenza tecnica, che tuttavia gli allenatori che incontrai sul mio cammino mi aiutarono a superare. Migliorai col tempo, poi nel 1995 andai per un paio d’anni in prestito alla Reggina, dove feci discretamente bene. Così quando il Cagliari, nell’estate del ’97, si apprestava ad affrontare il campionato di serie B dopo lo spareggio perso col Piacenza mi fu chiesto se volevo ritornare in Sardegna. Non ci pensai due volte. Così iniziò la mia avventura in prima squadra.”
E disputò un grande torneo cadetto, contribuendo al ritorno in A. Ma il suo vero trampolino di lancio fu la prima stagione in massima serie, campionato ’98-’99. Era il guardiano di una squadra sbarazzina e spregiudicata, che con Ventura in panchina imponeva a tutti – grandi comprese – la famosa “legge del Sant’Elia”.
“Sì, in casa mettevamo in difficoltà qualsiasi avversario. E all’epoca non mancavano certo gli squadroni: davanti al nostro pubblico battemmo il Milan, la Juventus, la Roma, il grande Parma di Buffon, Thuram, Crespo e Cannavaro. Con l’Inter pareggiammo 2-2 dopo essere stati in vantaggio 2-0, fermammo sullo 0-0 la lanciatissima Lazio di Sven Goran Eriksson. Insomma, ci togliemmo parecchie soddisfazioni. Con Ventura giocavamo un ottimo calcio e, questo va ricordato, avevamo in rosa giocatori importanti e di un certo spessore.”
In quel periodo lei crebbe moltissimo, sia tecnicamente che a livello caratteriale. Quale parata ricorda come la più bella e la più difficile in quel campionato esaltante?
“L’intervento che feci su Maldini in Cagliari-Milan, se non mi ricordo male oltre il novantesimo, ce l’ho ancora ben stampato nella mia mente. Fu una parata difficile, perché andai a togliere il pallone dall’incrocio dei pali su una conclusione dalla distanza potente e precisa. E poi fu determinante ai fini del risultato, perché ci consentì di toglierci il grande sfizio di battere sul nostro terreno i futuri Campioni d’Italia. Al termine, tra l’altro, di una gara molto bella, ricca di capovolgimenti di fronte e lottata fino all’ultimo secondo. Quel giorno fui molto felice per me ma anche per tutti i compagni e per i tifosi, che erano al settimo cielo. Ci eravamo meritati una vittoria del genere, così prestigiosa e importante.”
L’unico neo del Cagliari di Ventura era la sensibile differenza di rendimento tra le partite interne e quelle esterne. Fuori casa faticavate molto di più, pur adottando lo stesso identico modulo. Si è mai dato una spiegazione?
“In organico avevamo tanti giocatori bravi ma anche molti giovani, che si approcciavano per la prima volta in carriera alla serie A. Credo fosse quella la ragione di un rendimento così differente tra le gare al Sant’Elia e quelle in trasferta. Ci mancava un po’ di esperienza per gestire al meglio determinate situazioni.”
Cosa ricorda invece dell’anno seguente, sfociato in una retrocessione che ancora oggi si fa fatica a decifrare? O’Neill, Oliveira, Mboma, Macellari, Berretta, Zebina e tanti altri calciatori di livello non bastarono per mantenere la categoria. A suo parere per quale motivo?
“Le annate negative a volte capitano. Anche per me è difficile motivare quella retrocessione, perché la squadra c’era. Tuttavia, pur costruendo molto in attacco segnavamo poco, e in difesa non eravamo sempre impeccabili. Credo che il fallimento affondi le radici in queste pecche di fondo che avevamo.”
Alessio, oggi il Cagliari - come accadde a voi nel ’98 – si riaffaccia con la giusta umiltà, ma anche con entusiasmo e voglia di stupire, sul palcoscenico della serie A. Cosa si aspetta da questa squadra? Quali possono essere i suoi obiettivi a breve e medio termine?
“Intanto credo che la migliore garanzia sia il fatto di avere Claudio Ranieri al timone. Lui, forte della sua grande esperienza, saprà senz’altro quali giocatori ci vogliono e quali ingredienti servono per disputare un buon campionato, il che a mio avviso coincide con l’ottenimento di una salvezza tranquilla.”
Che poi sarà lo stesso obiettivo del Genoa, immagino. Lei attualmente è l’allenatore dei portieri del club ligure. Lotterete, come il Cagliari, per mantenere la categoria?
“Io penso che le tre neopromosse debbano giocoforza porsi l’obiettivo della permanenza in serie A, che è la priorità assoluta e imprescindibile. Quindi anche noi faremo di tutto per dimostrare di poter stare – e rimanere – nella massima serie.”
Un suo giudizio, da addetto ai lavori e parte in causa, sui portieri in forza al Genoa, che si sono disimpegnati egregiamente nello scorso campionato cadetto.
“Abbiamo avuto un estremo difensore spagnolo, Martinez, che ha compiuto un percorso di crescita importante nell’ultima stagione. Quando è arrivato ha avuto un po’ di difficoltà perché aveva giocato in Spagna e in Germania, dove le metodologie di lavoro sono sensibilmente diverse. Non era abituato al modus operandi che, soprattutto in materia di portieri, abbiamo in Italia. Ma si è velocemente adattato e integrato, e direi che ha disputato un campionato di B di alto livello. Ora stiamo lavorando per prepararlo alla serie A, che rappresenta un salto di qualità rilevante per un portiere. Sarà il campo a parlare e a dare il suo verdetto: le chiacchiere se le porta via il vento. Nulla meglio delle prestazioni rivela se si è svolto un buon lavoro o meno.”
Per chiudere, domanda secca da intenditore: qual è il portiere più forte attualmente presente in Italia?
“Io sono rimasto molto colpito da un portiere che è appena andato via dall’Italia per approdare in Premier League, tra l’altro passato anche per Cagliari. Guglielmo Vicario è impressionante: l’anno scorso ha fatto un campionato meraviglioso. Anzi, secondo me è stato addirittura il migliore in assoluto. È elastico, reattivo, rapido nei movimenti, dotato di riflessi eccezionali. Non dimentico naturalmente campioni affermati come Onana o Maignan, protagonisti di una stagione splendida, ma il portiere che mi ha stupito più di tutti – in definitiva – è stato proprio Vicario.”