Cagliari, Pavoletti: "Condivido con Riva l'amore verso Cagliari. Sempre stato cosciente di non voler andare via"
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Leonardo Pavoletti è stato ospite a Radio Serie A. Di seguito alcuni passaggi della sua intervista:
IL PARAGONE CON GIGI RIVA E CAGLIARI, UN SARDO NON SARDO
Voglio ricordare il grande Gigi, visto che da poco abbiamo celebrato la messa in suo ricordo. Essere paragonato a lui fa piacere ma dobbiamo essere sempre bravi ad usare le parole. Siamo attaccanti tutti e due ma di livelli non proprio uguali (ride, n.d.r), però secondo me molte cose ci accomunano: l'amore verso Cagliari, i principi che abbiamo riconosciuto e riscontrato in questa città come il vivere il quotidiano, il vivere il meno possibile con l’ansia o la frenesia di grandi città. Con Gigi Riva condivido questa cosa, la possibilità di vivere il quotidiano come una persona normale: andare al bar, fare la chiacchiera all'amico, sono cose che secondo me non sempre puoi comprare con i soldi, ma puoi solo viverle. È la bellezza della semplicità.
PAVOLETTI IL COLLANTE CON LA SOCIETÀ
So che la carriera si sta esaurendo e cerco di prendere quello che mi viene offerto. Bisogna capire che durante il percorso ci sono diverse tappe. C'è il momento iniziale dove vuoi mangiare il mondo, il tuo ego è enorme. Quando ti confermi, pensi che il campo conti più di tante altre cose, ti focalizzi solo sul rettangolo verde. Poi crescendo capisci che ci sono delle sfumature, ci sono altri valori che contano e che servono al club. Non potendo più giocare tantissime partite tra infortuni o perché ci sono sempre giocatori più bravi o più giovani, devi ritagliarti sempre uno spazio. E io, ho fatto così. Ma lo facevo già anche a Napoli dove non giocavo mai e facevo da collante tra tutti. Quando giochi ad alti livelli serve, anche dentro lo spogliatoio, un ragazzo che porti un po’ di leggerezza e questa mia capacità di parlare e di essere empatico la apprezzarono molto. Cerco sempre di entrare subito in simpatia con gli altri, di ridere, di scherzare, di trovare il buono di ogni situazione. Cerco di essere il collante tra squadra e società e tra squadra e mister, ma anche di risolvere un po' i problemi facendo da fratello maggiore della squadra, cercando di essere a volte affettuoso e a volte severo, sempre nel rispetto dei compagni ed è un equilibrio molto delicato. Mi sto costruendo una nuova personalità e professionalità che fino a qualche anno fa non pensavo di avere, però poi a un certo punto mi sono ritrovato nel corso di questi anni a Cagliari con la retrocessione, tanti giocatori importanti che sono andati via, e alla fine mi è toccato prendere questa situazione in mano nel momento peggiore. Però sicuramente la vera personalità si vede nel momento difficile e cerco di portarla avanti il meglio possibile, poi a volte sbaglio, e a volte dico qualcosa di sensato (ride, n.d.r).
LA POSSIBILITÀ DI ANDARE VIA DA CAGLIARI
C’è stata solo una piccola parentesi che mi ha fatto pensare di andare via tornato dal secondo infortunio. Mi ritrovai fuori come terzo attaccante, e avevo bisogno dopo un anno fermo di dimostrare di nuovo che potevo farcela. Per spazi e per gerarchie ormai createsi non riuscivo a giocare e quindi iniziai a pensare in una finestra di mercato di gennaio di quattro anni fa di cambiare squadra, ma solo per dimostrare che potevo ancora giocare in Serie A o in Serie B. Era anche un'analisi che volevo farmi io, però lo potevo fare solo scendendo in campo, dimostrando a me stesso e agli altri. Le cose cambiarono perché cambiammo allenatore che mi mise al centro del progetto, feci qualche gol, delle buone prestazioni e ci fu il lieto fine. Da lì ci sono stati di nuovo alti e bassi però sono sempre stato cosciente di non voler andare via.
GOL PESANTI, MA HAI QUESTA ETICHETTA? ARRABBIATO DOPO IL GOL DI BARI.
Non si contano i gol, ma si pesano” è bella per chi non fa tanti gol (ride, n.d.r). È difficile da spiegare e far capire questa cosa, è bellissimo segnare ma il giorno dopo hai già nuovi obiettivi. A volte mi voglio autoconvincere che si ho fatto quel gol, però la maggior parte delle volte non mi sono mai sentito Pavoletti calciatore, quasi mai nella mia vita. Non so se sia stato un bene o un male, forse avrei potuto pretendere di più dalla mia carriera, ma non mi sono mai sentito quello che dipingono dell’ultimo minuto. Per me è sempre stato un gioco. Perché sì, il gol al Bari è importantissimo, ma è stata tutta la squadra che mi ha portato fin lì, ho fatto l'ultimo gol e sembra che abbia fatto tutto io. In realtà ero arrabbiato alla fine della partita perché me l'ero sudata fino all'ultimo. Ero entrato all’87’ e avevo un mix di emozioni dentro, ma nella testa pensavo: “sono rimasto qui tutto l'anno, mi sono speso per portare il Cagliari in Serie A, l'ultima partita decisiva ho giocato cinque minuti rischiando di non farcela”. A questo pensavo, anche perché un altro gol così pesante alla fine di una partita era davvero difficile da far ricapitare (ride n.d.r). Ecco perché non me la sono goduto. Tante emozioni nel calcio non mi sono mai goduto. A posteriori cerco di analizzare, di prendere le cose positive e negative, so cosa fare per essere pronto a livello fisico e mentale. Alla fine, un gol è un gol.
MANTENERE LA CONCENTRAZIONE PER FARE GOL NEGLI ULTIMI MINUTI
Lavoro molto mentalmente. Qualche anno fa giocavo di più ma ormai mi sono abituato al fatto che la partita per me sono 10, 15, 20 minuti e quei 20 equivalgono ai 90 per un altro giocatore. Naturalmente i palloni a disposizione sono sempre meno, ogni giocata che sbagli potrebbe essere l'ultima quindi ha un peso maggiore anche perché ci ricordiamo di quello che succede alla fine o all'inizio, di quello che succede nel mezzo della partita nessuno si ricorda. Con la testa devi stare a 2000 anche se fisicamente non sei al top. Quando entri in campo devi già sapere cosa fare, come si sta svolgendo la partita, perché quando entri in campo il ritmo della partita è più veloce di quello che tu puoi pensare a bordo campo. I giocatori sono già abituati al contatto fisico e magari tu eri in panchina con il giubbotto al freddo (ride, n.d.r). Devi essere sveglio e capire cosa serve alla squadra, soprattutto cosa puoi dare in più. Tante volte ci sono riuscito, altre no. C’è un pensiero che mi aiuta a tenere alta la concentrazione per entrare nel modo migliore: “non rovinare la partita ai miei compagni”. Questo mi aiuta molto.
RAGIONARE E GIOCARE PER GLI ALTRI
Mi sono accorto negli anni, che la cosa più importante è rendere orgogliosi i tuoi compagni. Forse è stato anche un male per la mia carriera ma io ho sempre ragionato per loro. Se sono orgogliosi di te, il tuo lavoro prima o poi esce fuori e avrai sempre dei grandi benefici. Noi invece ormai siamo abituati a giocatori con ego smisurato. E non lo posso sapere perché io non ho mai avuto quelle qualità e quella carriera ma magari questo loro atteggiamento, è anche un modo per difendersi dal mondo esterno.
Io non ce la farei mai. Quando vedo un giocatore che gioca da solo, non mi piace. Io credo molto nel gruppo anche nei momenti difficili. Si può anche litigare, non è che è tutto rose e fiori, anzi. Ma con il lavoro risolvi tutto, non ho mai concepito atteggiamenti sbagliati o poca voglia di allenarsi. Ci sono cose che per me sono sacre: correre, dare tutto, cercar di far contento il compagno. Tutto questo è il premio più bello che puoi avere nello sport, in questo gioco di squadra.
RIMPIANTI? POCHI. CHISSÀ SE FOSSI RIMASTO DI PIÙ A NAPOLI…
Non ho rimpianti. Per dire, non sono mai andato a parlare con un allenatore perché la situazione andava storta. Non mi sono mai lamentato. Ho lavorato e poi magari a fine anno sono andato via. Però poi ho sempre visto che con il lavoro le cose andavano bene. A volte mi accorgo che molto probabilmente a Napoli non ero pronto. Forse ci sarei dovuto arrivare con qualche anno in più. Magari dovevo tenere botta e dire “cavolo mi ha comprato il Napoli, perché devo andare via dopo sei mesi?” Un giocatore magari si deve ambientare. Non siamo robot che attacchi e stacchi una spina e tutto è uguale in qualsiasi squadra tu sia. Siamo umani, quindi puoi sentire il cambiamento, un nuovo tipo di gioco o di allenamento.
Ero stato molto bene, avevo trovato uno degli spogliatoi più belli e simpatici di sempre . Però avevo sentito questa esigenza di cambiare e per fortuna spuntò l'idea Cagliari e mi allettò molto. Per come vedo io la vita mi ispirava e direi che la scelta è stata più che giusta.
I GOL DI TESTA, I PARAGONI A CR7 E IL VALORE DELLA PERSONA
Mi son sempre messo a ridere quando mi paragonavano a CR7 sull’efficacia dei gol di testa. Quando vieni dal basso è così. C’era un periodo in cui Cristiano Ronaldo segnava sempre di testa soprattutto in Champions e girarono dei “meme” con su scritto: “per segnare così bastava prendere Pavoletti”. E sì, chi l’avrebbe mai immaginato essere paragonato a Ronaldo (ride n.d.r). Io non ho mai dato niente per scontato, ho sempre cercato di impormi in ogni modo anche quando di fronte ho grandi campioni. Però, una volta finita la partita si torna se stessi. Io ritorno alla mia semplicità. Anzi, qualche volta non mi riconosco in campo proprio perché non mi sono mai sentito Pavoletti calciatore.
Ho sempre pensato a far uscire la persona prima del calciatore e la gente questo lo apprezza. Spesso il giocatore può sembrare chiuso nel suo personaggio. Lo vedi con tatuaggi e orecchini, ma magari è semplicemente il più introverso della sala e fuori invece pensano voglia fare il fenomeno. E non è così. Io son riuscito a far vedere quello che sono, ma è una mia forza: riesco ad essere empatico e ad entrare facilmente in connessione con le persone.
SI PUO' ANCORA ECCELLERE IN UNA SOLA QUALITÀ COME IL COLPO DI TESTA ALLA PAVOLETTI O VINCE LA DUTTILITÀ?
Credo che la direzione sia quella della duttilità e questo renderà il calcio più bello. Naturalmente nel tempo mancheranno le cose romantiche, i gesti che ti identificano. Il gol alla Del Piero, ad esempio. Ora il gioco è molto veloce tecnicamente, meno estetico e più funzionale. Qualche anno fa avevi più tempo per guardare, stoppare palla, giocare. Adesso è tutto azione su azione, magari ci sono più errori e quindi anche più gol. Ci sono tanti attaccanti forti, bravissimi in tante cose, ma non in un aspetto specifico.
I CONSIGLI AI COMPAGNI, UNA GIOIA DIFFERENTE
Nello staff del mister c’è un suo collaboratore che insegna tecnica e molto spesso ci fermiamo a provare il tiro, lo stop, il colpo di testa. Da lì nascono le domande, ci scambiamo i pareri: “calcia sul primo” “perché hai calciato lì?”. Spesso i più giovani mi fanno queste domande e per me è bellissimo aiutarli soprattutto perché potrà capitare che si ritrovino in partita in quelle situazioni. Quando poi tornano a dirmi: “mi ricordo di quel tuo consiglio, mi è stato utile”, sono grandi gioie. Diciamo che mi prendo quello che il campo ora, mi sta dando meno.
IL MOMENTO PIÙ BELLO DELLA MIA CARRIERA, LI REALIZZO IL SOGNO.
Ho segnato tanti gol importanti, ma l’emozione più forte è stata quando sono entrato per la prima volta nello spogliatoio del Sassuolo in Serie B. Li vidi la maglia con cognome e numero scelto da me, ovvero l’otto. Fu un’emozione indelebile che mi fece tornare bambino. Era quel sogno che seguivo da sempre.
LA PAURA DI NON ARRIVARE E LA CONSAPEVOLEZZA DI FAR IL CALCIATORE.
La consapevolezza nasce negli anni di Lega pro, erano stati altalenanti, avevo fatto benino. Poi con la Juve Stabia mi feci male, non giocai per sei mesi. Passai allora al Casale Monferrato in C2. Insomma, un passo indietro e non mi era mai successo in carriera. A Casale mi trovai bene ma feci solo 3 gol e lì, ho avuto paura di non farcela. Dalla paura alla consapevolezza perché mi promisi che dall’anno successivo avrei fatto il calciatore al 100%. Andai a Lanciano e tutto fu meraviglioso, capii la fame che ci vuole per fare il calciatore. È diversa dalla fame di oggi, non è solo colpa dei ragazzi: un giovane oggi vede un sacco di sponsor, un sacco di soldi, sai che con un anno sei a posto. Prima per arrivare su dovevi fare strada, fare gol, vincere campionati, sperare nell’allineamento di fattori decisivi. La mia fortuna è stata vincere due campionati, dalla C alla B e dalla B alla A, in due anni. Ma mi sarei potuto impantanare di nuovo. Ma evidentemente quando sei positivo, lavori bene, poi ti succedono le cose buone: finisci nelle realtà giuste e in due anni mi sono trovato in A. Una grande gavetta che mi ha portato, per esempio, a fare con il Genoa il primo gol ad una big, contro l’Inter che prima guardavo solo in TV.
I 20 GOL AL VARESE PER ARRIVARE AL GENOA DI GASPERINI
Ero in uscita dal Sassuolo e andare al Varese voleva dir porsi l’obiettivo di fare 20 gol perché così diventi appetibile per la Serie A. Si lottava per la salvezza, avevo tanti amici, ma le condizioni furono complicate. È stato un anno difficile, ci allenavamo in posti non bellissimi, lo stadio cadeva a pezzi, eppure ne uscimmo bene. Nelle difficoltà ci esaltammo. Il Presidente Preziosi mi vide lì a Varese, e infatti dopo 6 mesi di nuovo al Sassuolo, vado al Genoa. Gasperini? Gli devo tanto, mi fece credere di poter essere un giocatore da Serie A. All’inizio non mi considerava minimamente, c’erano Borriello e Niang davanti a me, ma io in allenamento davo tutti, per me erano le mie partite. Un giorno a fine allenamento Gasperini mi disse: “Pavo, ci siamo”. Giocavamo l’infrasettimanale con il Parma, e io come sempre vado in panchina. Ma Borriello si fa male, e lui anziché chiamare Niang guarda me, mi dice “Pavo entra”. In quel momento mi guardai i parastinchi e ripensai a quanto detto da Burdisso, il mister odiava chi stava in panchina con i parastinchi slacciati. Quindi non iniziai benissimo (ride n.d.r) ma vincemmo con anche il mio il terzo gol. Da lì inizia a darmi più spazio anche perché gli altri due si fecero entrambi male. Ero decisivo, giocavo bene, arrivammo in zona Europa ma, per mancanza della licenza UEFA, ci andò la Sampdoria. Chissà se fossi andato in Europa League con Gasperini, cosa sarebbe stato della mia carriera, magari mi si sarebbero aperte più porte. Quello fu il più grande dispiacere, un po' come non aver fatto gol a Napoli.
L’ESPERIENZA DI NAPOLI
Avrei voluto fare gol con la maglia del Napoli. Che squadra. Hamsik il più forte che abbia visto. Mi dicevo, ma cosa ci sto a fare qua (ride, ndr). Mi piacciono quei giocatori globali, forti in entrambe le fasi. E lui era alla fine del percorso, stavano arrivando gli Zielinski, Rog e Diawara.
L’OBIETTIVO PERSONALE DELLA STAGIONE E LA POSSIBILE FINE A CAGLIARI
Chiudere la mia carriera qui a Cagliari è un’ipotesi molto concreta. Firmando un contratto biennale a 35 anni, la prospettiva è quella.
Non vorrei però trascinarmi neppure troppo in avanti. Io accetto la panchina ma non al 100%, perché è normale: sono pur sempre un calciatore e un calciatore vuole giocare. Devo mediare tra Società e squadra, lo faccio volentieri perché capisco che il mio ruolo è anche quello. Però voglio fare il calciatore, mi sento calciatore. E sino a quando sento questo fuoco… voglio essere ancora protagonista, penso di avere ancora tanto da dare in campo, anche se i miei numeri non sono più quelli di una volta. La testa, la fame è sempre quella. Dall’altra parte però non vorrei arrivare a quel punto in cui si dice “qua c’è ancora Pavoletti”, ecco un peso mai. Il mio obiettivo personale è vincere ancora qualche man of the match, almeno uno da qui a fine stagione. Voglio essere utile per la squadra: prendermi ogni tanto delle gioie personali significherebbe portare delle gioie ai compagni. Perché molto probabilmente sarebbero gol importanti per il nostro obiettivo.
SALVEZZA OBIETTIVO STAGIONALE, CAPRILE UN VALORE AGGIUNTO
È il nostro obiettivo, viviamo giorno per giorno per raggiungerla, mi piacerebbe far vivere alla nostra gente una salvezza più serena, ma se servisse abbiamo la pellaccia per lottare fino alla fine. Caprile? È veramente forte. Quello che mi è piaciuto più di tutto è che, già dal secondo giorno qui, sapeva i nomi di battesimo di tutti noi. È arrivato che si era già calato nella mentalità giusta. Se arrivi così poi il campo è solo una conseguenza. Se vivi così ogni giorno, concentrato, sul pezzo, poi le prestazioni non arrivano per caso. Noi lo vediamo tutti i giorni, vediamo la sua attenzione, la voglia con cui è venuto qui.
PAVOLETTI ALLENATORE? MOLTO DIFFICILE
Futuro? Vedremo, fare l’allenatore no, la vedo difficile. Ad oggi lo escluderei. Nel tempo però penserò al domani e capirò bene cosa fare. Di sicuro spero di essere qui a Cagliari e di avere un ruolo che mi piaccia, farlo con passione. Sarei un dipendente, ma quel ruolo lo farei con le mie idee che porterei avanti seguendo naturalmente le linee generali. Il calcio mi ha dato per tanti anni la possibilità di lavorare con passione, vorrei ritrovare questo fuori dal campo: qualcosa che mi dia tanto sotto l’aspetto umano - perché magari i consigli che do sono utili - e che mi renda felice di andare tutti giorni nello stesso posto. I miei figli? Mi piacerebbe che anche loro giocassero come il papà. Il più grande, Giorgio, che ha 6 anni, è appassionato al calcio e questa cosa mi piace tantissimo. Non ero così fissato come lui. Prima il suo idolo ero io, ora prende consapevolezza e guarda gli altri (ride, ndr). Però si vede già calciatore. In generale mi piacerebbe che facciano sport. Sarà banale, retorico, ma a me il calcio, lo sport, ha insegnato a vivere. Spero che lo sport dia a loro quello che ha dato a me, in campo e fuori.