ESCLUSIVA TC - Roberto Maltagliati: "Cagliari un paradiso terrestre, fossi arrivato prima non me ne sarei mai andato. Ci mancò continuità di rendimento per lottare per l'Europa"

ESCLUSIVA TC - Roberto Maltagliati: "Cagliari un paradiso terrestre, fossi arrivato prima non me ne sarei mai andato. Ci mancò continuità di rendimento per lottare per l'Europa"TUTTOmercatoWEB.com
martedì 30 maggio 2023, 14:05Primo piano
di Matteo Bordiga

Un veterano della serie A approdato in maglia rossoblù al tramonto della sua carriera, ma non per questo meno determinato e determinante.

Quasi due stagioni a Cagliari per Roberto Maltagliati, vissute in spensieratezza e col privilegio di potersi godere lo spettacolo prodotto dalla cintola in su dai vari Esposito, Suazo, Zola e Langella. Lui governava la squadra dalla difesa dettando ritmi e posizioni, mentre là davanti si divertivano a fare il diavolo a quattro mandando al manicomio le retroguardie avversarie.

Maltagliati giunse in Sardegna a gennaio 2004, per cui si regalò la strepitosa promozione in serie A sotto la guida di Edy Reja e poi visse tutto il campionato successivo in massima divisione da perno inamovibile della difesa. La seconda fu una stagione a tratti esaltante, a un certo punto perfino incendiata dal sogno proibito di sbarcare nell’Europa dei giganti.

Finì con una salvezza senza pensieri, ma ai tifosi è sempre rimasta appiccicata addosso la sensazione che quella squadra, con un pizzico di continuità in più, avrebbe potuto togliersi ben altre soddisfazioni.

Roberto, come racconterebbe il suo anno e mezzo trascorso nell’Isola? Come fu festeggiare la promozione e poi confermarsi autorevolmente l’anno successivo in serie A?

“Fu fantastico. Ero arrivato a gennaio con l’obiettivo di rinforzare la retroguardia. Con Reja facemmo un percorso eccezionale, conquistando la promozione in scioltezza. A quel punto si scatenò una festa incredibile, travolgente. Una roba che ho visto pochissime altre volte nel corso della mia carriera. Ricordo il calore dei tifosi, l’affetto del popolo sardo che ti dava veramente il cuore. Gente meravigliosa, quella di Sardegna: sempre disponibile in tutto e per tutto.

Il campionato successivo fu l’ultima grande soddisfazione della mia carriera: l’ultimo anno in serie A a trentacinque primavere, in una piazza straordinaria e prestigiosa. Mi sarebbe piaciuto poi rimanere qualche anno in più, ma i programmi non li facevo io e purtroppo è andata così: nel 2005 ho lasciato l’Isola. Con grande rimpianto, anche perché in quel periodo avevo conosciuto una donna sarda, di Cagliari, che poi sarebbe diventata mia moglie. Rimango dunque tuttora legatissimo a questa terra.

Penso che se fossi arrivato lì da giovane non mi sarei mai più mosso. Poche storie, in Sardegna è tutta un’altra vita: il clima, la gente, la natura. Un paradiso terrestre.”

Dalla serie B alla serie A: come viveste il salto di categoria? Com’era giocare con quei fenomeni che il Cagliari all’epoca aveva dalla cintola in su?

“La squadra venne appena ritoccata, mantenendo la stessa intelaiatura del gruppo che aveva fatto sfracelli in cadetteria. Credo che il ragionamento della dirigenza sia stato che, vista la facilità con la quale avevamo ottenuto la promozione – in serie B, soprattutto nelle gare al Sant’Elia, non c’era quasi mai storia – non valesse la pena di stravolgere l’organico, ma bastasse confermare lo zoccolo duro per raggiungere una tranquilla salvezza in serie A.

E infatti ci salvammo divertendoci. In quella squadra giocavano degli autentici campioni: da Zola a Suazo, da Esposito a Langella, passando per il mitico Daniele Conti, Lopez, Agostini, Brambilla… e potrei citarne tanti altri. Tagliammo il traguardo con diverse giornate d’anticipo.”

Di quel Cagliari è rimasta l’impressione che forse, se avesse avuto maggiore costanza di rendimento, avrebbe realmente potuto puntare all’Europa, che a un certo punto della stagione da utopia era diventata un sogno a portata di mano. Secondo lei cosa è mancato per fare quell’ulteriore step?

“Forse un pizzico di fortuna. E una maggiore continuità di prestazioni tra le gare casalinghe e quelle in trasferta. Noi al Sant’Elia vincevamo quasi sempre in maniera netta, meritando il successo, soverchiando l’avversario grazie al supporto dei nostri tifosi e al clima incandescente che si respirava allo stadio. Fuori casa, dove non eravamo più trascinati dal pubblico, forse quella spinta e quella concentrazione feroce sono un po’ venute meno.

Tatticamente non so spiegare perché in Sardegna vincessimo facile e lontano dall’Isola facessimo più fatica. Che si fosse al Sant’Elia o a San Siro noi si giocava sempre allo stesso modo, non si cambiava atteggiamento a seconda del contesto. Anzi, ci presentavamo ovunque belli spavaldi e spregiudicati, con tanti uomini d’attacco. Semmai poteva essere complicato, con tutte quelle punte in campo, mantenere sempre i giusti equilibri in fase difensiva. La presenza contemporanea di gente come Zola, Esposito e Suazo richiedeva tanti sacrifici a noi difensori e anche ai centrocampisti: dovevamo pedalare affinché la squadra potesse permettersi una batteria offensiva così ricca e scintillante.”

Segue ancora il Cagliari? Oggi ci sarà l’andata della semifinale playoff col Parma: il penultimo step verso il sospirato ritorno in serie A.

“Cagliari e Parma sono due mie ex squadre. In Emilia disputai la mia prima stagione nel massimo campionato, a Cagliari l’ultima. Sono fiducioso sulle possibilità del Cagliari, che è stato letteralmente rivitalizzato da Claudio Ranieri. Credo che buona parte dei meriti della rimonta rossoblù nel girone di ritorno siano di questo grande allenatore, che ha dato al gruppo quella convinzione che probabilmente prima mancava. Chapeau a Ranieri, perché non è stato affatto facile condurre la squadra a questo traguardo.”