ESCLUSIVA TC - MATTEO VILLA: "I miei dieci anni a Cagliari col vento in poppa. Con l'Inter in Coppa Uefa il rigore di Bergkamp ci tagliò le gambe. Ventura un grande tecnico. Ranieri la scelta migliore di Giulini"

Con lui si poteva attraversare qualsiasi tempesta. Sconfitte in serie, cambi di allenatore, contestazioni dei tifosi, retrocessioni sanguinose. Nulla lo spaventava: raddrizzava le vele, prendeva in mano il timone, affrontava le onde senza paura e conduceva sempre la barca in porto.
Per dieci stagioni la sua città, il suo mondo, il centro nevralgico della sua vita è diventato Cagliari. Lui, originario del profondo Nord, di quella provincia milanese tanto lontana, per mentalità e abitudini, dai ritmi languidi e cadenzati della Sardegna. Eppure il vento del Sud, quel maestrale che negli anni gli è entrato nel cuore come la carezza di una seconda madre, l’ha fatto Capitano.
Matteo Villa, dal 1991 al 2001 condottiero e colonna portante della difesa rossoblù, quando parla di Cagliari e del Cagliari tradisce sempre una certa emozione: “Posso anche dare il mio pronostico per la finale playoff di stasera, ma che ti devo dire? Io sono di parte”.
Matteo, la sua con i colori rossoblù è una storia d’amore lunga e felice. Iniziata nel 1991, dopo l’addio di Claudio Ranieri e alla vigilia del secondo campionato consecutivo del Cagliari in serie A.
“Ricordo il mio arrivo con grande affetto. Ero un ragazzino, praticamente un bambino. Era la mia prima esperienza lontano da casa, e mi ha cambiato la vita. Sono infatti rimasto nell’Isola per dieci anni. Fin dal primo momento mi sono trovato meravigliosamente bene. Sono stato accolto da una grande e numerosissima famiglia: non a caso, tante delle persone conosciute in Sardegna sono ancora mie amiche. È stato importantissimo, a quel tempo e a quell’età, essere circondato da un calore che mi trascinava e mi avvolgeva sia dentro che fuori dal campo.”
Quale delle tante stagioni vissute a Cagliari ricorda con maggiore trasporto ed entusiasmo?
“Quella della cavalcata in Coppa Uefa. Eravamo una grande squadra, forgiata l’anno prima da Mazzone e condotta da Giorgi con passione e competenza. Andammo in giro per l’Europa a stupire e a far inorgoglire sempre di più i nostri tifosi, vittoria dopo vittoria.
La base di quel Cagliari, come detto, era sicuramente la formazione che aveva conquistato il sesto posto nel campionato 1992-93. Tra l’altro, negli anni qualcuno ha dato del difensivista a Mazzone, che al contrario era un precursore: giocavamo con la difesa a tre quando ancora nessuno adottava quel modulo. E proponevamo un calcio molto aggressivo e dinamico, forti della presenza in squadra di tanti giocatori di altissimo livello.
Bruno Giorgi, nella stagione della campagna europea, creò un gruppo straordinario – era questa la sua grande forza – che assomigliava tanto a una famiglia. Era un gran signore, in tutto e per tutto. Dal punto di vista calcistico la sua filosofia si basava sulla logica dei duelli individuali: specialmente in fase difensiva si giocava uomo contro uomo. Non a caso una delle sue massime ricorrenti era: ‘La partita è fatta da dieci duelli: la squadra che riesce a vincerne sei ha molte probabilità di prevalere sull’altra’. Gli uno contro uno, insomma, decidevano la sfida. E si marcava rigorosamente a uomo.
Giorgi era anche un grande conoscitore dei segreti della preparazione atletica. Infatti quell’anno giravamo a mille, e anche grazie alla brillantezza fisica abbiamo fatto un percorso incredibile in Coppa Uefa che, purtroppo, non è stato coronato dalla vittoria finale. A San Siro contro l’Inter arrivammo forse un po’ stanchi mentalmente, dopo aver disputato pochi giorni prima una gara decisiva per la permanenza in serie A contro la Reggiana. Ciò comunque non vuol dire che fossimo svuotati di energie. A guardare il risultato di quella famosa semifinale di ritorno si potrebbe pensare che si sia trattato di un match dominato dai nerazzurri e disastroso per noi. In realtà, però, il Cagliari fino a cinque minuti dalla fine del primo tempo era pienamente in partita. Il calcio di rigore, perlomeno dubbio, concesso all’Inter e segnato da Bergkamp ci tagliò le gambe. Fu lì che la partita svoltò. Il secondo tempo, poi, oggettivamente non lo giocammo alla nostra altezza. Ma secondo me se fossimo riusciti a finire il primo tempo sullo 0-0 le cose sarebbero potute andare in modo molto diverso. L’Inter si sarebbe impaurita e noi avremmo potuto colpirla con maggiore facilità nella ripresa. Del resto una cosa del genere era successa nel precedente turno contro la Juventus: anche lì i bianconeri erano andati in vantaggio a Torino ma poi noi, pareggiando subito con Firicano, trovammo l’episodio che fece cambiare la partita a nostro favore. Se al Delle Alpi non avessimo trovato il gol prima dell’intervallo, magari nel secondo tempo la Juve sarebbe riuscita a eliminarci. In pratica, come eravamo riusciti a far girare dalla nostra parte la sfida coi bianconeri, così venimmo penalizzati dagli episodi a San Siro. Sono le classiche ‘sliding doors’, le porte scorrevoli che determinano l’esito finale delle partite.”
Che ricordi ha invece del Cagliari di Ventura? Era un’altra squadra che, col suo 3-5-2, precorreva i tempi e giocava un calcio divertente e sbarazzino, sia in serie B che, l’anno dopo, in massima divisione.
“Ventura è stato un tecnico importante non solo per il Cagliari ma per il calcio italiano, perché sperimentava e faceva cose che, a quell’epoca, anche formazioni più quotate della nostra non facevano. Il 3-5-2 con Macellari che, da quinto, era praticamente un’ala aggiunta era uno schema innovativo per la fine degli anni Novanta. È indubbio che sia in serie B sia – direi soprattutto – nell’anno di serie A abbiamo fatto vedere un calcio frizzante, moderno e all’avanguardia.”
Matteo, c’è da scommettere che lei, legatissimo com’è alla Sardegna, segua ancora oggi la squadra rossoblù. Che impressione le ha fatto il nuovo Cagliari targato Ranieri?
“Ranieri non ho avuto la fortuna di incrociarlo sul mio cammino professionale, essendo arrivato nell’Isola l’anno successivo al suo addio. Ma tutti i suoi ex calciatori mi testimoniano che è stato un tecnico fondamentale nella storia recente del Cagliari. Tanto dal punto di vista tecnico-tattico che da quello umano.
La scelta di Giulini di richiamarlo al capezzale di un Cagliari malaticcio è stata la svolta di questa stagione. In primis perché il mister romano ha riportato entusiasmo non solo nei giocatori, ma soprattutto nella città e tra i sostenitori rossoblù.
Ora c’è la doppia sfida di playoff col Bari. Ma io cosa posso dire? Come posso fare un pronostico? Sarei troppo di parte… (ride, ndA). Tutto sembrerebbe dalla parte del Cagliari: l’inerzia della grande rincorsa compiuta negli ultimi mesi, la condizione fisica dei giocatori più importanti, il ritrovato calore e l’euforia della piazza… Ma poi queste partite non hanno mai un favorito. Sfuggono a qualunque previsione. Quel che è certo è che il Cagliari ha tutte le carte in regola per giocarsela fino in fondo e che Ranieri l’ha preparata nei minimi dettagli, come è solito fare. Il resto sarà il campo a dirlo.”