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ESCLUSIVA TC - GIORGIO MELIS: "Il mio Cagliari di fine anni Settanta, che diventò grande in A con gente come Casagrande e Selvaggi. Da tecnico ho fatto la gavetta nelle giovanili per poi approdare in prima squadra, ma forse nel momento sbagliato"

ESCLUSIVA TC - GIORGIO MELIS: "Il mio Cagliari di fine anni Settanta, che diventò grande in A con gente come Casagrande e Selvaggi. Da tecnico ho fatto la gavetta nelle giovanili per poi approdare in prima squadra, ma forse nel momento sbagliato"TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Christian Seu
venerdì 12 luglio 2024, 15:00Primo piano
di Matteo Bordiga

Giorgio Melis si è tolto la soddisfazione di scendere in campo con il “suo” Cagliari (lui è originario di Carbonia) alla fine degli anni Settanta, debuttando anche in serie A nel campionato 1979-’80. Poi, da allenatore, ha vissuto una lunghissima trafila nel settore giovanile rossoblù, fino a sostituire Massimiliano Allegri sulla panchina della prima squadra nel 2010, conducendo alla salvezza un Cagliari che, fino a febbraio, aveva dimostrato di avere credibili velleità europee.

Giorgio, che ricordi ha della sua militanza da calciatore in rossoblù?

“Si stavano ponendo le basi per la costruzione di una grande squadra, che poi avrebbe fatto faville in serie A. Era il Cagliari dei Corti, Lamagni e Longobucco… In quegli anni con Marchetti, Quagliozzi, Bellini e Casagrande il centrocampo era di altissima qualità: una delle mediane più forti, a mio parere, di tutta la storia rossoblù. Facemmo il sesto posto in serie A anche grazie all’exploit di Franco Selvaggi in attacco. Era tutto un altro calcio: le rose erano composte al massimo da diciassette-diciotto giocatori, per cui all’interno del gruppo squadra si viveva come in una famiglia. Oggi gli organici sono di trentacinque calciatori, e di conseguenza risulta tutto un po’ più dispersivo.

Fu davvero un bel periodo: io ero giovanissimo ed esordii a Palermo, in serie B.”

Quel Cagliari propugnava un calcio già piuttosto moderno: correvano tutti tantissimo e, all’occorrenza, esercitavano anche una sorta di pressing offensivo. Lo conferma?

“Certo, confermo. Mario Tiddia, del resto, era un tecnico all’avanguardia. Del resto in quegli anni ci fu il famoso adattamento di Brugnera al ruolo di libero, con ottimi risultati. Mario non si limitava a contrastare gli avversari e a guidare la retroguardia, ma usciva palla al piede dall’area di rigore diventando il primo costruttore di gioco della squadra. Poi avevamo un terzino sinistro, come Longobucco, che fungeva anche da fluidificante e veniva nientedimeno che dalla Juventus, con la quale aveva disputato una finale di Coppa dei Campioni. E, come dicevo prima, il centrocampo combinava qualità e quantità, ed era il nostro motore e cuore pulsante. Giocavamo un bellissimo calcio, senza paura e senza timori reverenziali nei confronti di chicchessia. Andavamo a giocarci la partita e a fare risultato su tutti i campi. Forse la vittoria più importante, e che ricordo con maggiore piacere, fu quella al Sant’Elia contro la grande Juventus: fu decisivo un gol di Bellini.”

Da allenatore lei ha maturato una lunga esperienza nelle giovanili del Cagliari, culminata con l’esordio sulla panchina della prima squadra in seguito all’esonero di Allegri.

“Ho allenato prima i Giovanissimi, poi gli Allievi nazionali e quindi, per tanti anni, ho guidato la Primavera. Ricordo con grande affetto tutti i giovani che ho avuto l’occasione di crescere: da Pisano a Sau a Marco Mancosu, passando per Deiola, Barella e Salvatore Burrai. Ci siamo divertiti insieme e ci siamo tolti parecchie soddisfazioni. Era un grande vivaio, costruito all’insegna dell’identità regionale e, dunque, della sardità. I ragazzi erano praticamente tutti nati in Sardegna, per cui alle doti tecniche abbinavano la fierezza e l’orgoglio di rappresentare i propri colori.

Forse sono approdato sulla panchina della prima squadra nel momento meno indicato: tutti sapevano che l’anno successivo sarebbe arrivato Pierpaolo Bisoli. Magari avrei potuto giocarmi qualche carta in più negli anni precedenti, ma non avevo ancora i giusti requisiti.”

Quell’anno il Cagliari aveva disputato un girone d’andata da capogiro, assestandosi stabilmente a ridosso delle posizioni europee. Poi ci fu un drastico e inopinato calo nel girone di ritorno, che compromise la stagione e consentì a malapena di raggiungere una salvezza risicata. Secondo lei a cosa fu dovuto quel tracollo improvviso?

“Intanto devo dire che praticavamo un calcio frizzante e piacevole. Giocavamo con Andrea Cossu che fungeva da trequartista e con un asso come Matri in attacco. Poi personalmente ho avuto il piacere di conoscere e di allenare calciatori come Astori e Canini: ragazzi di una disponibilità unica.

Subentrai ad Allegri in un momento di difficoltà, raccogliendo i punti necessari per certificare la permanenza in serie A. È difficile spiegare cosa accadde nel girone di ritorno, perché ci fu un’inversione di tendenza nettissima rispetto a quanto fatto nel girone d’andata. A volta quando una squadra imbocca un tunnel ed entra in un loop di negatività diventa difficile cambiare rotta. Forse avevamo perso un po’ di motivazioni, chissà… Del resto queste sono cose che a volte possono capitare. Indagarne le cause profonde è molto complicato.”

Giorgio, un suo parere sul Cagliari attualmente in costruzione. Cosa dobbiamo e possiamo aspettarci dalla prossima stagione?

“Personalmente ho grande fiducia in mister Nicola. È giovane, determinato, viene dalla gavetta e sa bene come si gioca a questi livelli. Credo che allestirà una squadra giovane, e spero di tutto cuore che ci faccia soffrire di meno rispetto all’ultimo campionato. Mi auguro che il Cagliari possa togliersi qualche soddisfazione in più.”

I tifosi vorrebbero una squadra almeno da centroclassifica, o che comunque possa ottenere la salvezza in grande anticipo e in scioltezza. Secondo lei questi obiettivi, con la rosa attuale, sono raggiungibili?

“Guardando a com’è strutturata la rosa al giorno d’oggi mi viene un po’ difficile crederlo. Mi auguro che la società nelle prossime settimane ingaggi anche giocatori di categoria, oltre che giovani promesse. Naturalmente dare spazio ai talenti in erba è fondamentale, e i ragazzi più promettenti vanno fatti giocare. Ma in serie A conta anche la qualità e l’esperienza di calciatori già formati e in grado di fare da chiocce alle nuove leve.”