ESCLUSIVA TC - CARLO CORNACCHIA: "Il mio Cagliari con Ranieri al timone, che ottenne un'insperata promozione in A con un calcio diretto e verticale. L'anno dopo per la salvezza furono decisive le gare con Juventus e Lecce"
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Difensore robusto e dinamico col vizietto dell’inserimento e del gol, ha vissuto in Sardegna un’esperienza breve ma inebriante. Arrivato nel 1989 dalla Reggiana, neopromossa in serie B, ha bruciato le tappe assieme a tutto il gruppo rossoblù conquistando una promozione in serie A tanto inattesa quanto entusiasmante. Sotto la guida, naturalmente, di Claudio Ranieri, giovanissimo alfiere di una squadra equilibrata e scoppiettante capace di ottenere, l’anno successivo, una strepitosa salvezza in una delle serie A più competitive degli ultimi cinquant’anni.
Carlo Cornacchia, ripartito da Cagliari alla volta di Bergamo – destinazione Atalanta – nel 1991, era uno dei pilastri della formazione isolana: in due stagioni ha messo insieme 52 presenze in gare di campionato e 6 reti, tra l’altro tutte preziosissime e decisive ai fini del risultato.
Da tanti anni fa l’allenatore itinerante: ha maturato esperienze in Francia, Stati Uniti e Inghilterra, oltre che nel Belpaese. In ultima battuta è stato vice di Daniele De Rossi alla SPAL nella stagione 2022-2023.
Carlo, torniamo indietro nel tempo. Come si svolse la trattativa che, dalla Reggiana, la portò in Sardegna nel lontano 1989?
“Accadde tutto molto in fretta. Ricordo che ero impegnato nella cavalcata finale verso la serie B con la Reggiana; alla fine del campionato venni messo al corrente dell’interessamento del Cagliari, e ne fui estremamente lusingato. Non vedevo l’ora di firmare il contratto e di unirmi al gruppo di mister Ranieri: quella sarda era ed è tuttora una squadra storica e di grande richiamo, per cui era per me un onore vestire la maglia rossoblù. In più mi galvanizzava l’idea di militare in un club che rappresentava tutta un’Isola: il vanto e l’orgoglio della gente sarda. Per tutte queste ragioni, mi buttai subito a capofitto in quella nuova avventura.”
Lei in rossoblù visse due anni splendidi, coronati prima da una promozione del tutto inaspettata in serie A e poi da una salvezza che, al termine del girone d’andata del campionato, pareva un puro miraggio.
“Il nostro era un bel gruppo, composto da ragazzi giovani. L’età media era piuttosto bassa. Giusto un paio di giocatori erano sopra la trentina. In campo all’esperienza di questi senatori faceva da contraltare l’esuberanza dei giovani talenti. Ranieri già all’epoca era attentissimo alla costruzione e alla valorizzazione del gruppo, perché credeva tantissimo nella filosofia del collettivo: il gruppo è sempre qualcosa di più della somma delle abilità dei singoli.
Nella stagione 1989-90, da neopromossi in serie B, partimmo ovviamente con l’idea di salvarci. Poi però, vittoria dopo vittoria, cominciammo a prendere consapevolezza delle nostre potenzialità. E ci trovavamo già in una buona posizione di classifica. Una volta iniziato a credere nella possibilità di fare il doppio salto fino alla serie A, non ci fermammo più. Giocavamo un calcio molto veloce, pragmatico e soprattutto diretto. Estremamente verticale. Del resto all’epoca nessuno praticava un calcio fraseggiato: nemmeno la Juventus di Maifredi o il Milan di Sacchi. Il concetto era far arrivare il più rapidamente possibile la palla agli attaccanti, che dovevano decidere le partite. Una volta i difensori difendevano e basta: dovevano passare il pallone ai giocatori più dotati tecnicamente, i quali a loro volta imbeccavano le punte.
Da par nostro, va tuttavia sottolineato che noi difensori avevamo l’autorizzazione di Ranieri a spingerci in avanti, una volta fatto il nostro dovere in fase difensiva. Tanto dietro c’era il libero - Firicano in serie A e Giovannelli in serie B - che ci copriva benissimo. E io, Festa, Valentini e compagnia cominciammo pure a segnare qualche gol. Questo fu, per certi versi, il nostro valore aggiunto.”
Nel campionato di serie A successivo incontraste enormi difficoltà fino a metà dicembre; poi però il girone di ritorno fu sfolgorante, e riusciste a centrare una salvezza formidabile. E fu proprio un suo gol a lanciare la grande rimonta: quello dell’1-2 al Delle Alpi contro la Juventus, preludio al 2-2 finale siglato da Cappioli che vi regalò, oltre che un punto pesante in casa dei bianconeri, anche un pieno di autostima.
“Il banco di prova era affrontare squadre di alto livello. Le cosiddette ‘big’. Ci presentammo a Torino in una situazione di classifica molto precaria. Avevamo pagato lo scotto del salto di categoria, pur non giocando affatto male; del resto la differenza tra le piccole e le grandi squadre è che le piccole sbagliano di più, e per questo vengono punite. Magari a livello tattico e di pensiero calcistico le idee sono esattamente le stesse, ma le piccole commettono più errori. Che le grandi, ovviamente, sanno sfruttare al volo. Questo succede adesso come succedeva tanti anni fa. Ed era il nostro problema fino alla gara con la Juventus.
Al Delle Alpi scendemmo in campo con l’idea di marcare i bianconeri a uomo in maniera diretta e spietata. Risultato: dopo pochi minuti eravamo già 2-0 per loro. Al che mister Ranieri ci disse: ‘Fermi tutti. Dimentichiamo completamente il nostro piano tattico. Si passa alla marcatura a zona’. In allenamento avevamo provato più volte la zona, perché Claudio era molto attento a recepire e a sperimentare le novità che arrivavano da altre squadre o da altri campionati. Morale della favola: con un assetto tattico diverso e applicando la zona rimontammo fino al 2-2, dando una svolta al nostro campionato. Fu in quel momento che capimmo, dentro di noi, di poterci realmente salvare.
Poi la partita che ci tirò fuori dalle sabbie mobili della zona retrocessione fu quella con il Lecce in casa. Una sorta di spareggio salvezza che vincemmo 2-0, con le reti di Herrera e Francescoli - peraltro entrambe molto belle - uscendo per la prima volta dalla zona rossa. Quello fu il punto di svolta definitivo, e sfociò poi nel raggiungimento dell’agognato obiettivo con la vittoria di Bologna. Anche perché ‘distruggemmo’ sportivamente i leccesi, che ci avevano a loro volta asfaltati sia in Coppa Italia che nella gara d’andata al Via del Mare. Fu un rendez-vous per noi importante a livello psicologico, che ci lanciò verso il traguardo che appena qualche mese prima sembrava così lontano…”
Carlo, facendo un triplo salto carpiato in avanti nel tempo veniamo ai giorni nostri. Oltre trent’anni dopo il Cagliari ritorna in serie A, ancora con Claudio Ranieri al timone. Cosa possiamo aspettarci da questa squadra, in attesa che dal mercato arrivino gli ultimi rinforzi?
“Fare un pronostico risulta difficile, proprio perché i rossoblù sono ancora un cantiere aperto. Bisognerebbe vedere la squadra in campo con il suo undici migliore e con i giocatori già in buona condizione. D’altro canto, il campionato inizia domenica prossima. Per cui ora come ora conteranno moltissimo la coesione e lo spirito di squadra, valori che un allenatore come Ranieri sa decisamente sfruttare al meglio: lo dimostra la recente, straordinaria promozione in A ottenuta ai playoff.
La rosa va completata, ma il Cagliari ha un vantaggio, ovvero che è… il Cagliari. Rappresenta tutta la Sardegna: la spinta emotiva del popolo sardo giocherà un ruolo determinante. Io ho vissuto Cagliari e, se mi si passa il termine, la ‘cagliaritanità’, per cui so che la squadra quando gioca non è mai sola. Mai. L’appoggio della gente vale veramente, per i calciatori, come un uomo in più in campo. E i sardi – tutti i sardi – non devono per nessun motivo far mancare il loro sostegno al Cagliari, che ne ha un enorme bisogno.”