ESCLUSIVA TC - ALESSANDRO AGOSTINI: "I miei otto anni a Cagliari, tra salvezze ed exploit. Con Ballardini e Allegri le stagioni migliori. La retrocessione dell'anno scorso? No comment. Ma non ho niente da rimproverarmi: ci ho messo il cuore"

ESCLUSIVA TC - ALESSANDRO AGOSTINI: "I miei otto anni a Cagliari, tra salvezze ed exploit. Con Ballardini e Allegri le stagioni migliori. La retrocessione dell'anno scorso? No comment. Ma non ho niente da rimproverarmi: ci ho messo il cuore"TUTTOmercatoWEB.com
domenica 9 luglio 2023, 19:53Primo piano
di Matteo Bordiga

Dalla Toscana alla Sardegna… con amore. Perché è una storia d’amore quella che ha legato Alessandro Agostini da Vinci al sole, alla magia e alla gente di Cagliari – oltre che all’adorata maglia rossoblù – per ben otto anni, dal 2004 al 2012, tra tempeste, peripezie, salvezze memorabili, exploit inattesi e cadute puntualmente seguite da immediate rinascite. Con un lungo appendice, dal 2016 al 2022, nei panni di allenatore del settore giovanile, della primavera e infine – per un brevissimo lasso di tempo – della prima squadra della società presieduta da Tommaso Giulini.

Una vera e propria vita calcistica spesa in riva al Poetto per un terzino sinistro di sicura affidabilità, abile tanto in fase di marcatura quanto come fluidificante: tanti i cross recapitati sulla testa degli attaccanti e gli assist sfornati anche in momenti decisivi delle partite e della stagione. Curiosamente vuota, invece, la casella dei gol segnati, nonostante ben 298 presenze all’attivo – in tutte le competizioni – con la maglia dei quattro mori.

La sua meravigliosa avventura in Sardegna ha avuto una coda amara con la retrocessione del 2022 in serie B, che l’ha visto sedere sulla panchina cagliaritana per appena tre partite al posto dell’esonerato Walter Mazzarri senza riuscire nell’impresa di acciuffare per il rotto della cuffia una salvezza comunque complicatissima, pregiudicata da un campionato scellerato condotto quasi sempre in apnea. Troppo poco, in ogni caso, per adombrare i ricordi di così tanti anni vissuti felicemente nell’Isola, ancora ben presenti tanto nel cuore di “Ago” quanto nella memoria dei suoi ex tifosi.

Oggi la freccia mancina di Vinci allena, con successo, la primavera del Genoa.

Alessandro, partiamo dal principio. Cosa ricorda del suo approdo a Cagliari, nel gennaio 2004?

“All’epoca ero un giocatore dell’Empoli, e l’allora direttore sportivo Nicola Salerno – che ricordo sempre con grande affetto – mi chiamò proponendomi di trasferirmi a Cagliari. Fu una trattativa piuttosto semplice, perché ero molto attratto dall’idea di andare a giocare in Sardegna. Era una soluzione che gradivo. Per cui non ci mettemmo molto a firmare il contratto e a iniziare ufficialmente quest’avventura.”

Quale, delle numerose stagioni trascorse nell’Isola, le è rimasta maggiormente impressa per i risultati ottenuti dalla squadra o per il suo rendimento personale?

“Una delle annate che ricordo con più piacere è sicuramente quella vissuta nel 2008 con Ballardini in panchina. Ottenemmo una salvezza incredibile alla fine di una stagione tormentata, che a un certo punto prese una piega positiva grazie a una serie di risultati importanti e diede a tutti noi grande soddisfazione. Come non citare poi i campionati entusiasmanti sotto la guida di Max Allegri? In quegli anni riuscimmo a regalare ai tifosi gioie ed emozioni che non vivevano da tempo: una su tutte la vittoria a Torino con la Juventus, che mancava da decenni. Giocavamo un gran calcio e affrontavamo chiunque a viso aperto, sapendo di poter dire sempre la nostra.

Non dimentico neanche la mia prima stagione completa a Cagliari, quella 2004-2005. Avevo già contribuito alla promozione con Reja da gennaio a giugno, ma nell’anno in serie A con Zola, Esposito, Suazo e Langella ci divertivamo e davamo spettacolo, soprattutto in casa. In trasferta non riuscivamo a bissare le grandi prestazioni offerte al Sant’Elia, forse per un nostro limite di carattere mentale o forse perché il solo fatto di giocare davanti al nostro pubblico ci aiutava a tirare fuori qualcosa in più. Sta di fatto che quell’anno anche calciatori che, come il sottoscritto, non avevano ancora grande esperienza in serie A realizzarono di poter giocare a pieno diritto in massima serie.”

Non trova che l’immagine di Allegri sia cambiata parecchio rispetto ai tempi in cui allenava il Cagliari? In Sardegna appariva come un tecnico estremamente coraggioso e propositivo, facendo giocare la squadra in maniera spregiudicata col baricentro sempre alto e con tanti uomini d’attacco in campo contemporaneamente. Alla Juventus, invece, passa per essere un profeta del calcio speculativo e utilitaristico, esteticamente poco curato e tutt’altro che godibile. L’allenatore livornese ha vissuto secondo lei una sorta di involuzione?

“Francamente non mi sento di giudicare una situazione che non posso conoscere in maniera approfondita. Posso dire che Max, a mio avviso, è un grande allenatore: il suo palmarés parla per lui. È senz’altro vero che quel Cagliari giocava un calcio propositivo: era composto da giocatori di qualità che sapevano fare le due fasi. Ci abbassavamo tutti insieme e, sempre tutti insieme, proponevamo soluzioni offensive. Però non mi va di esprimere un giudizio su altre situazioni e altri contesti. Non credo di essere nemmeno la persona più adatta a farlo. Anche perché da fuori è sempre facile sparare sentenze su ciò che, magari, in realtà neppure si conosce tanto bene.”

Tornando alla sua militanza cagliaritana, qual è stata invece la stagione più difficile e travagliata?

“Nell’arco degli anni i momenti complicati non sono mancati. Quel Cagliari, soprattutto nel mio primo periodo in Sardegna, lottava per la salvezza e doveva misurarsi contro avversarie molto attrezzate. Forse la stagione in cui ho sofferto di più è stata quella con Giampaolo: dopo che avevo giocato già diversi campionati da titolare il mister arrivò e mi mise un po’ in disparte, e per me non fu un periodo semplice. Mi dispiaceva non poter fornire il mio apporto alla squadra. Quando l’allenatore, che pure ha tutto il diritto di fare le sue scelte, ti impiega col contagocce ci rimani un po’ male, perché senti di non poter dare il contributo che vorresti alla causa comune.”

Veniamo alla sua esperienza da allenatore della prima squadra del Cagliari, dopo gli anni trascorsi nel settore giovanile e alla guida della primavera. Appena tre gare in panchina nel 2022, condite da due pareggi e una sconfitta, seguite dalla sanguinosa retrocessione in serie B. È stata comunque un’avventura formativa e che le ha insegnato qualcosa nel suo nuovo percorso professionale?

“Tutte le esperienze insegnano qualcosa e rappresentano una dote preziosa in vista delle sfide che ci attendono in futuro. Non mi vorrei dilungare più di tanto su quella breve avventura, perché non mi sembra il caso di farlo. Posso semplicemente dire che io, quando sono stato chiamato alla guida della prima squadra, pur con i miei difetti e con i miei limiti ho sempre cercato di mettere il cuore in tutto quello che facevo. Poi che i giudizi li diano gli altri; per quanto mi riguarda so quanto ho investito in quell’esperienza, quanto ho sofferto e quanto mi sono speso per ottenere il miglior risultato possibile. Personalmente non mi devo rimproverare niente, perché ho sempre fatto tutto con il massimo impegno e mettendoci il cuore.”

Parlando esclusivamente di questioni di campo, a livello tecnico-tattico cosa non ha funzionato in quel Cagliari? Quali erano le problematiche da risolvere? Perché la sensazione è che la squadra non fosse affatto inferiore, almeno sotto il profilo dell’organico, ad altre compagini che invece si sono salvate.

“Preferirei non rispondere a questa domanda, perché è passato un po’ di tempo e ci sono stati anche alcuni problemi. Chiedo scusa, ma sarebbe una cosa troppo lunga… Meglio glissare, non se ne abbia a male.”

Viriamo allora il discorso su di lei come allenatore. Che calcio propugna? Sposa una filosofia in particolare? Che tipo di tecnico si definirebbe Alessandro Agostini, se si osservasse dall’esterno?

“Mi piace senz’altro un calcio propositivo. Ma per ‘calcio propositivo’ intendo un calcio adatto alla rosa che si ha a disposizione. Ogni allenatore coltiva la sua idea di gioco; nei miei principi c’è, ben nitida e chiara, la volontà di mettere a proprio agio la squadra assecondando le caratteristiche dei singoli giocatori, e mettendo ciascuno di essi nelle migliori condizioni possibili per rendere al massimo delle sue potenzialità. Dipende dal materiale tecnico che ti ritrovi: alcune squadre, ad esempio, sono più portate a impostare da dietro partendo dal portiere. Con altre formazioni questo tipo di approccio magari è meno indicato.

Devi coniugare le tue convinzioni calcistiche con le prerogative tecnico-tattiche dei calciatori che alleni. Altrimenti si finisce per sfociare negli estremismi. Nella mia carriera ho avuto tanti allenatori, ai quali ho attinto per formare la mia idea personale di calcio. E ho riscontrato che quando si vuole imporre un proprio precetto di gioco a interpreti non adatti a metterlo in pratica si rischia di sbagliare. Forzare il giocatore non credo sia la soluzione migliore. Anche perché andrebbe a discapito della serenità e del rendimento del giocatore stesso.

Per fare gli allenatori si deve essere equilibrati, malleabili e intelligenti.”

C’è un mister nello specifico al quale si ispira, dopo averlo avuto come allenatore nella sua lunga carriera?

“Non credo di ispirarmi in particolare a un singolo allenatore. In tutti quelli che ho avuto da calciatore c’era del buono, c’era qualcosa di interessante che funzionava. Io ho cercato di prendere da ciascuno di loro tutto ciò che mi piaceva. Non esiste un modo giusto o sbagliato di allenare. Ci sono tante scuole di pensiero, e le scelte che ogni tecnico fa sono assolutamente soggettive e legate al suo stile personale. Io, come dicevo, ho raccolto tutti i pezzi da ogni modello che ho avuto e li ho messi insieme.”