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ESCLUSIVA TC - RENATO ROFFI: "Da anni non oso più tornare in Sardegna: mi assalirebbe una malinconia terribile. A Cagliari ho vissuto gli anni migliori e la mia gioventù. Debuttai nel '71 a San Siro col Milan, entrando al posto di Domenghini"

ESCLUSIVA TC - RENATO ROFFI: "Da anni non oso più tornare in Sardegna: mi assalirebbe una malinconia terribile. A Cagliari ho vissuto gli anni migliori e la mia gioventù. Debuttai nel '71 a San Siro col Milan, entrando al posto di Domenghini"TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Luca Di Leonardo
giovedì 25 luglio 2024, 14:06Primo piano
di Matteo Bordiga

Questa è la storia di un ragazzo che non osava pensare di poter volare così in alto. Un ragazzo che, neppure diciottenne, si è trovato catapultato in uno spogliatoio di leggende viventi, e che ha dovuto sgomitare e versare sangue e sudore per trasformarsi dalla mascotte del gruppo al capitano dentro e fuori dal campo del Cagliari Calcio.

Questa è la storia di un uomo che in Sardegna ha vissuto gli anni spettinati della sua gioventù: dal 1969 al 1980 Cagliari è stata la sua casa. Ma oggi Renato Roffi da Udine, cresciuto nell’Astor di Lucca, nell’Isola non osa più tornare. Intendiamoci: non perché non la ami più o perché non ne senta la mancanza. Al contrario: Cagliari e i cagliaritani sono tra i ricordi più cari che custodisce dentro di sé. Il fatto è che quel mare fiabesco, quella città colorata e calorosa, quell’affetto puro e genuino della gente lo farebbero annegare in un oceano di malinconia, precipitandolo nel periodo più dolce e ruggente della sua vita. Un’epoca ormai stinta, sbiadita, passata. Da oltre quarant’anni.

I ricordi, se rivissuti in prima persona dopo tanto tempo, possono anche fare male.  

Renato, lei arrivò a Cagliari nel lontano 1969. In quell’epoca i rossoblù di Manlio Scopigno si apprestavano a conquistare lo Stivale…

“Io abitavo a Lucca. Naturalmente per il trasferimento in Sardegna la società parlò con mio padre. L’Isola era lontana… e all’epoca veniva considerata ancora più lontana di quello che realmente era. Ricordo mia mamma in lacrime e papà a dir poco perplesso. Ma alla fine proprio lui mi disse: ‘Renato, provaci. Io e tua madre cercheremo di venire più spesso in Sardegna a trovarti’.

Io, incoscientemente, volevo buttarmi a capofitto in questa avventura. Così sbarcai in Sardegna e andai a vivere in foresteria, dove c’erano tutti gli altri ragazzi delle giovanili. Proprio con la primavera rossoblù mi misi in mostra. Le racconto un aneddoto: Manlio Scopigno non era solito andare a vedere giocare noi giovani. Quando gli chiesero del vivaio cagliaritano pronunciò la sua famosa battuta: ‘Sì, un ottimo vivaio… di cozze!’. Una mattina, però, noi ragazzi ci apprestavamo ad affrontare la Lazio e, del tutto inaspettatamente, vedemmo arrivare i giocatori della prima squadra ad osservarci. Chi l’avrebbe mai detto? Fortuna volle che io mi distinsi per la mia buonissima prestazione: giocavo come mezzala e, tra l’altro, feci pure gol. Poi andai a fare la doccia e, subito dopo, venne da me il tecnico della primavera per dirmi: ‘Renato, tu da domani ti allenerai con la prima squadra.’

Apriti cielo! Non ci volevo credere, pensavo a uno scherzo. Invece il mister proseguì: ‘Non solo: dovrai cambiare residenza. Andrai ad abitare con gli scapoli della prima squadra.’ Tutto contento, andai a vivere in questa palazzina elegante in centro città. Un altro mondo: io ero abituato alla foresteria, che – diciamocela tutta – non è che fosse proprio un gioiello… Invece nella nuova casa trovai la moquette e vari altri comfort!

Presto divenni la mascotte del gruppo della prima squadra. La sera mi mandavano a prendere la pizza per tutti. Crebbi in fretta: quando giochi e ti alleni con gente che ti è superiore migliori più rapidamente sotto tutti i punti di vista.”

Fino al suo debutto in prima squadra, risalente al 1971 a San Siro contro il Milan.

“Quel giorno il mister mi portò in panchina, proprio alla Scala del calcio. Io speravo che non si infortunasse nessuno, perché mi tremavano i polsi all’idea di debuttare proprio lì. Invece si fece male Domenghini, che fu costretto a uscire alla fine del primo tempo. Così entrai all’inizio della ripresa. Tra parentesi, inciampai sul gradino che dal sottopassaggio conduceva al terreno di gioco. ‘Ragazzi, andiamo bene oggi!’, disse Albertosi per sfottermi…

Alla fine tutto sommato me la cavai bene. Marcai Benetti a centrocampo, facemmo 0-0. A fine partita ricevetti i complimenti di tanti compagni. Naturalmente, per il resto della stagione tornai a sedermi in panchina. L’anno dopo, campionato 1972-’73, Scopigno fu sostituito in panchina da Edmondo Fabbri, che diverse volte mi impiegò in serie A. Poi nel 1973-‘74 subentrò Beppe Chiappella, che mi spostò dal centrocampo alla difesa, segnatamente nel ruolo di libero. Questo perché ero piuttosto lento. Quella fu la mia collocazione definitiva.”

Che rapporti aveva con i cagliaritani? Si trovava bene in città?

“Le dirò una cosa: mentre gli altri giocatori andavano spesso a mangiare al ristorante, io cenavo a casa dei vari amici che avevo conosciuto a Cagliari in quegli anni. Ero sempre fuori a cena, in giro per le case della città: del resto ero un tipo socievole, di compagnia. Stringevo facilmente amicizia. Ah, naturalmente alle 22 andavo via: a quell’ora bisognava tornare a casa a dormire.

Rimasi al Cagliari fino alla stagione 1979-’80, quando mi venne diagnosticata la tubercolosi all’uretere. Andai a Firenze a curarmi e mi venne detto: ‘Lei deve smettere di giocare a calcio, altrimenti perderà il rene’. Rimasi dieci mesi a Lucca sotto terapia antibiotica – nel frattempo ovviamente avevo interrotto il mio rapporto col Cagliari, dal momento che non giocavo più – e poi fortunatamente guarii. Un giorno incontrai Lauro Toneatto, mio ex allenatore al Cagliari, che mi propose di raggiungerlo alla Pistoiese. Accettai, ma dopo poche partite mi ruppi tibia e perone: carriera finita. Oggi in pochi mesi sarei stato rimesso in sesto, ma allora un incidente del genere significava appendere le scarpette al chiodo.”

Renato, qual è la stagione vissuta in Sardegna che le è rimasta maggiormente nel cuore, sia dal punto di vista sportivo che sotto l’aspetto umano?

“Forse quella in cui ero capitano. Militavamo in serie B, era il 1976-’77. In panchina sedeva Toneatto.”

Con quale dei tanti allenatori che ha avuto a Cagliari si è trovato meglio?

“Più o meno mi sono trovato bene con tutti: da Scopigno a Chiappella, da Toneatto a Suarez. L’unico col quale non andavo d’accordo era Mario Tiddia, che tuttavia – voglio sottolinearlo – era una bravissima persona. A volte semplicemente capita di avere punti di vista diversi.”

Le capita ancora di tornare in Sardegna, magari in vacanza?

“Lei pensi che io oggi, piuttosto che tornare in Sardegna - e soprattutto a Cagliari - andrei da qualsiasi altra parte. E lo sa perché? Intanto perché molti dei miei amici dell’epoca sono morti… e poi se rimettessi piede nell’Isola mi verrebbe una malinconia insostenibile. Preferisco ricordare i tempi in cui ero giovane e vivevo felicemente in mezzo ai sardi… Un’epoca meravigliosa che non tornerà mai più. Oggi mi sento ancora, ogni tanto, con qualche ex compagno di squadra. Ma nulla di più.”