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ESCLUSIVA TC - GIGI CAGNI: "Ranieri è riuscito a dare ai suoi un po' più di personalità nel girone di ritorno. Il fatto che abbia iniziato e concluso il suo percorso personale a Cagliari è toccante. La generazione mia e sua è estinta, finita"

ESCLUSIVA TC - GIGI CAGNI: "Ranieri è riuscito a dare ai suoi un po' più di personalità nel girone di ritorno. Il fatto che abbia iniziato e concluso il suo percorso personale a Cagliari è toccante. La generazione mia e sua è estinta, finita"TUTTOmercatoWEB.com
sabato 25 maggio 2024, 21:00Esclusive TC
di Matteo Bordiga

Gigi Cagni era un allenatore che veicolava un calcio diretto, concettualmente semplice ma efficace, solido e arcigno. Il suo Piacenza degli anni Novanta ha lasciato un ricordo vivido e luminoso nella memoria dei calciofili italiani.

A bocce ferme, l’ex tecnico bresciano analizza la stagione del Cagliari, tra quello che è stato e quello che, eventualmente, avrebbe potuto essere.

Gigi, che giudizio dà all’annata della compagine allenata da Claudio Ranieri, che ha raggiunto la salvezza con una settimana d’anticipo raggranellando 36 punti in 38 partite?

“Direi che Ranieri è riuscito a dare alla squadra un po’ più di personalità nel girone di ritorno. Ha tirato fuori il carattere dei giocatori grazie alla sua esperienza e alla sua intelligenza nella gestione di tutti gli aspetti che sono di pertinenza dell’allenatore. Per cui ha finito in bellezza.

Il fatto che il tecnico romano abbia deciso di chiudere il suo percorso laddove l’aveva iniziato, in Sardegna, a mio parere è toccante. Soprattutto se contestualizzato nel mondo calcistico attuale, e soprattutto per noi che siamo di una generazione ormai praticamente scomparsa. Tra l’altro Claudio l’ho sentito proprio due ore fa.”

E cosa vi siete detti?

“Gli ho fatto i complimenti per due cose: per i risultati che ha ottenuto quest’anno e anche per la decisione che ha preso, ovvero lasciare il Cagliari in questo momento e in questo modo, che personalmente approvo appieno e che ritengo degna di una persona speciale come lui.”

A suo parere l’organico del Cagliari era veramente da salvezza risicata e stiracchiata oppure, dal punto di vista tecnico, c’erano i presupposti per fare qualche punto in più e ambire a posizioni di classifica più tranquille?

“No, io dico che più di così non era possibile fare. Anche perché nel calcio moderno mancano i leader all’interno delle squadre: il leader, di fatto, è l’allenatore. I giocatori non hanno più la personalità di una volta, ne sono proprio privi. Per cui diventa particolarmente complicato, in situazioni di difficoltà, trovare una soluzione e imboccare la strada giusta. Ci vogliono tempo e pazienza per far rendere i calciatori al cento per cento delle loro potenzialità e per aiutarli a tirare fuori tutte le loro qualità - che hanno eccome, beninteso. Costruire il gruppo è una cosa difficile oggigiorno, secondo me.

Non mi riferisco al Cagliari, parlo in generale. Ho l’impressione che oggi il calcio sia uno sport di gruppo praticato da persone che, per modo di dire, incarnano e conducono un’azienda singola. Ogni calciatore è un’azienda a sé stante, per cui poi risulta complicato parlare di attaccamento alla maglia o di spirito aziendalista da parte dei componenti del gruppo squadra. Questi sono valori che avevano insegnato a noi, ma che oggi mi sembrano quasi del tutto spariti. Giocatori ‘aziendalisti’ non ce ne sono più da nessuna parte. Per cui per creare una comunione di intenti e uno spirito aziendalista collettivo serve molto ma molto più tempo. E allora ecco che il Cagliari ha bisogno di tutto il girone d’andata per consolidare il gruppo e cominciare a carburare. Ed ecco che l’Inter di Simone Inzaghi, una supersquadra composta da fuoriclasse, impiega tre anni per iniziare a vincere.  

Ovviamente in questo contesto non esistono più le bandiere. Ai nostri tempi era perfettamente naturale che ci fossero: penso proprio a Riva che, anziché accettare la corte della Juventus, è rimasto a Cagliari. Ed era importante per gli altri elementi della squadra avere un leader, un punto di riferimento, un condottiero così legato alla società e alla città. Oggi l’assenza totale di queste figure non facilita certo il compito dell’allenatore: io non alleno più perché il mondo del calcio attuale non mi piace, non mi ci riconosco. Non è più il mio. E pure Claudio ha capito che ormai la nostra generazione è finita, estinta. Anche per questo è uscito - così elegantemente - di scena.”