Ranieri a Sky Sport: "Il sentirsi sardo è una cosa che mi dà orgoglio. Il congedo da Cagliari me lo immagino con i tifosi contenti, in Serie A"
Sky Sport ha dedicato una puntata del programma ‘L’uomo della domenica’ a Claudio Ranieri. Un omaggio alla storia del tecnico del Cagliari.
La prima salvezza in A con il Cagliari: “La situazione fu drammatica all’inizioo perché avevamo nove punti alla fine del girone di andata. Io mi ricordo che c'era Omar Sivori come commentatore alla domenica sportiva e diceva ‘Il Cagliari ormai è spacciato’. Io da quel momento invece cominciai a credere e dire ‘no, ce la facciamo’. Noi ci salvammo perché allora la zona la facevano in pochi, la faceva solo il Milan di Sacchi. Noi partivamo con il 3-5-due, come si usa adesso, e poi io lo cambiavo in 4-4-2, per cui la novità portava dei benefici immediati. Ci salvammo con una giornata di anticipo e fu meraviglioso”.
Il rapporto con Riva: “Io la mia ultima partita nella Roma fu un Roma-Cagliari e io marcavo Bobo Gori e Battistoni marcava Gigi Riva, vincemmo 2-0 e non lo so, lui mi ha sempre dato dell’eroe greco, di un qualcosa oltre, per cui per me sta lassù”.
Il ritorno a Cagliari: “Il dubbio era fortissimo, di non deludere sardi e di non deludere il bambino che c'è dentro di me. Poi quando lessi quell'articolo di Gigi mi dissi ‘ma perché sono così egoista? Sto pensando a me invece non penso che il Cagliari in questo momento ho veramente bisogno di una persona come Ranieri, che si assuma le responsabilità, che riesca a vincere o meno. Per cui sono venuto e sono molto contento di essere qua”.
Il legame con Cagliari: “Mi sento dentro di me calcisticamente legato a Cagliari in maniera forte. Molte persone vicino a me mi dicevano ‘Claudio non andare se vai a Cagliari e non fai non fai bene, ti bruci’. E io ho dentro di me dicevo ‘ma mi brucio cosa? Io non so se sarò un allenatore, non se capisco di calcio’, perché qui ora tutti parliamo di calcio e oggi con questi leoni da tastiera sanno tutto loro. Per l’amore di Dio, il calcio è bellissimo in Italia e tira proprio per questo. Io andai via soltanto per non sporcare l’idea, quel sogno che mi aveva portato a far conoscere”.
La gioventù e la romanità: “Se io devo avere un flash dei miei genitori, li vedo lì al negozio la mattina presto che se ne andavano, ritornavano alle due, mamma ci faceva da mangiare, poi papà di nuovo subito al negozio ed era sempre così. Come clienti c’erano Gassman, Manfredi, c’erano diversi clienti e io andavo, la mattina portavo la carne, poi me ne andavo. Mi ricordo una volta nevicò a Roma e io andai con tutti questi pacchi in mezzo alla neve, senza scooter, però dovevo consegnare la carne, per cui con tutto il freddo, mi arrampicai sull'Aventino a portare la carne ai signori. Io ero il solito ragazzo esuberante per cui come potevo andavo all'oratorio perché all'epoca non c'erano le scuole calcio, ringraziando Dio c'erano gli oratori per cui andavo per il 70% all’oratorio di San Saba e per il 30% all’oratorio di Testaccio”.
4 novembre 1973, il debutto in A: “Ero un riflessivo, ero un giocatore che non mollava mai ed è quello che chiedo ai miei giocatori. Poi potevo sbagliare la partita, per fortuna ce ne sono poche e allora non si vedevano le partite per cui non si possono vedere gli errori (ride)”.
Il rapporto con Manlio Scopigno che gli spianò la strada: “Vedi i giri della vita come vanno. E’ bellissimo questo fatto che nel centro di Assemini ogni giocatore ha la camera dedicata ai campioni che vinsero lo scudetto. Di Scopigno ricordo con la sua flemma, quel suo distacco sembrava che lui stesse fuori da tutto, dal mondo del calcio, lui veleggiava sopra”.
Il rapporto con i giocatori: “Io sostengo questo: tante volte si dice quel giocatore gioca contro quell'allenatore contro. No non gli gioca contro, però se non ha rispetto, se non lo sente, non riesce a tirargli fuori il 100% da questo giocatore. Se invece tu riesci ad instaurare un buon rapporto con tutti, chiedendogli il massimo, facendogli vedere che tu sei intransigente con te stesso e anche con tutti quanti gli altri, tu riesci a tirargli fuori il 110% a questi ragazzi. Quello che io cerco è proprio questo, un feeling: se io riesco a trovare un feeling con la squadra con la squadra sicuramente andrà bene”.
Il gol al Milan con il Catanzaro: “Non ho fatto molti goal in serie A, però quello è bellissimo. Chissà come mai mi trovavo lì, centrale di centrocampo: ah, perché marcavo Rivera. I miei piedi erano quelli di un normale difensore e sono sincero, non so se alla velocità attuale io sarei attuale”.
La vittoria della Premier con il Leicester: “Il Leicester era una squadra abituata a lottare perché si era salvata l'anno precedente nell'ultimo mese, se no erano retrocessi. Erano un po' come il Cagliari, erano abituati a lottare. Vardy era un tipo particolare perché non è mai venuto a nessuna cena, un ragazzo particolare però, la sera della partita Chelsea-Tottenham invitò tutti quanti a casa sua, per cui era un leader riconosciuto anche se parlava poco. Ero più un Cholo Simeone, infatti quando incontrai il figlio gli dissi: ‘Dì a tuo padre che quel Leicester ha vinto perché ha giocato come l’Atletico’. Io credo che sia stato l'anno che è stato baciato, quando ad una squadra va tutto bene e le grandi facevano una o due vittorie e poi pareggiavano due volte. La cosa bella è che anche se stavamo sotto di due goal, col fatto che io dicevo a tutti ‘non mollate fino all'ultimo secondo, cominciavamo a recuperare o a vincere e l'avversario se stava vincendo 2-0, vedeva 2-1 e vedevi che cambiavano completamente, cambiavano proprio l'espressione. Pure il pubblico quando giocavamo fuori casa, era convinto che noi se andassimo a fare i goal e i goal arrivavano. Kanté chi se lo immaginava, tu giocavi con uno in più. Io una volta dissi ‘non mi stupirò se lo vedrò crossare e colpire di testa’ perché era il primo che andava a pressare in avanti ed era il primo a recuperare e pressare dietro. Ma il bello poi di questo ragazzo era che se arriva adesso e mi parla dietro, io lo riconosco perché non parlava mai, quando gli dicevo in allenamento non correre oggi, mi diceva di sì e poi partiva correva come sempre. L’analogia è che dovevamo correre e non voltarci indietro, andare davanti, quello che dicevano dicevano. Io stavo in un quartiere dove c'erano parecchi indiani e mi ringraziavano perché c'era stata un'inclusione ancora più forte con gli inglesi, il fatto della vittoria al fatto di arrivare tutti allo allo stadio per tifare per il Leicester, anche gli indiani erano stati ancor di più famiglia con gli inglesi e questo mi ha fatto molto piacere. In ogni parte del mondo mi riconoscono, non dico tutti ma parecchi, prima no. Arrivavano lettera da ogni parte del mondo e si percepiva che tu ti facevano il tifo per noi, però io sono così, non vivo al momento, a forza di poi ci penserò a quello che ho fatto”.
La festa con il Leicester: “Il bello è stato che dopo una settimana mi sono trovato, invitato ad Andrea (Bocelli, ndr) ad una sua manifestazione non ricordo quale, e lui lo disse ‘ho cantato a Leicester ma ho avuto la percezione che non gliene fregasse niente di quello che stavo facendo’.
Sul suo modo di essere: “Io sono me stesso al 100% e forse anche in questo mi sento sardo, a me non piace apparire, io voglio dare il rispetto, esigo rispetto e voglio dare il rispetto. Mi basta questo. Io credo che faccia parte del mio carattere romano, scivola dietro, lascia che dicano e Forrest Gump continua a correre”.
Lo stile personale: “Non mi piace essere esagitato, non mi piace dare l'impressione di un pazzoide, non mi piace che magari dopo una sconfitta per quanto possa essere deluso, arrabbiato, però dico devo rendere conto a migliaia di telespettatori che stanno dall'altra parte e vogliono sentire la tua, come l'hai vista e come non l'hai vista, non mi piace dire ‘ah, l’arbitro non ci ha dato un rigore, c'era quello c'era quell'altro e il vento e l'acqua e il sole, mi mancava questo mi mancava quell'altro’. Si è perso, manda giù e vai avanti. I miei mi hanno insegnato questo, di essere al 100% a disposizione del cliente, per cui io sono nato con quella formazione, bisogna dare sempre tutto se stessi per gli altri, per chi viene a comprare la merce. Prima, quando non avevo vinto al Leicester, ero il magnifico perdente, quello che arrivava secondo. Se uno andasse a vedere dove sono stato, nei momenti topici, dove io sono stato, forse si renderebbe veramente conto di quello che io ho fatto è che Leicester e Cagliari sono soltanto due cose. E non voglio essere presuntuoso”.
La Roma: “Ho preso la Roma a zero punti in classifica, ci furono i nostri tifosi che volevano fermare fuori il pullman fuori da via dei Gladiatori e volevano farci il funerale e dopo si era creato quell'entusiasmo, per cui mi porto dietro l'entusiasmo e non col funerale che ci volevano fare. Io sono di quelli che se non puoi vincere, fatti i fatti tuoi (ride), lì non si può vincere. Se è troppo bravo, allora va bene così”.
La finale playout di Bari e il richiamo ai tifosi: “È quello che avevo detto ai miei giocatori, ‘noi diamo tutto se poi loro ci battono e vanno in serie A, gli andiamo a stringere la mano’. Abbiamo vinto noi, allora volevo che il pubblico si divertisse e basta. Quando ho sentito ‘serie B serie B’, per quelli del Bari mi è dispiaciuto onestamente. Poi dopo ho detto ‘ma chissà quante ne avranno ingoiate’, non ho voluto fare il professore, sono sincero, mi è venuto così”.
Il Cagliari di oggi: “Io l'ho detto all'inizio, prenderemo delle libecciate e dovremmo stare sereni e forti. Certo è che dobbiamo reagire fortemente. Il sentirsi isolano, il sentirsi sardo è un qualcosa che ti dà, almeno a me, un orgoglio e una forza interiore perché rappresenti parecchia gente, gente che ha lavorato, che ha sofferto, che è stata nelle miniere. Io ricordo quando sono venuto tanti anni fa, entrai a 100-150 m sotto terra, per andare a sostenere i minatori che non percepivano uno stipendio, perché stavano chiudendo le miniere. Senti come se devi fare qualcosa, per questa gente. I sardi sono rispettosi e sanno stare al loro posto. Io ho molti amici che non ho il tempo magari di chiamare, che ancora non si fanno vedere e io dico è incredibile, è quasi un anno che sto qua. Il congedo da Cagliari me lo immagino con i tifosi contenti, in serie A, contenti. Devo andare via quando sono contenti. Sono persona seria che ho amato lo sport e ha fatto di tutto per rispettarlo".