ESCLUSIVA TC - ROBERTO CANESTRARI: "L'esperienza a Cagliari è il ricordo più bello della mia carriera. Tutte le domeniche al Sant'Elia c'erano sessantamila persone. Giocavamo un calcio avanguardistico, con Brugnera libero che impostava da dietro"
Arcigno difensore centrale, granitico interprete della più rigida marcatura a uomo, Roberto Canestrari ha vestito la maglia del Cagliari in sole due stagioni (più una piccolissima parte di una terza), legando però il suo nome a uno dei periodi più felici della storia medio-recente del club rossoblù. Ha infatti collezionato una sfolgorante promozione in serie A (campionato 1978-’79) e una stagione da mille e una notte nella categoria regina, culminata in un settimo posto da incorniciare per una neopromossa come la squadra sarda, allenata all’epoca da Mario Tiddia.
Roberto, riavvolgiamo il nastro della memoria e torniamo al 1978. Cosa ricorda del suo sbarco in Sardegna e come la accolsero i tifosi cagliaritani?
“L’esperienza cagliaritana è indubbiamente il più bel ricordo di tutta la mia carriera calcistica. In Sardegna sono stato benissimo e sono stato accolto meravigliosamente. Venivo dal Modena, dalla serie B. Il Cagliari aveva appena fallito il ritorno in serie A, ma nell’anno in cui fui ingaggiato io la squadra non venne affatto stravolta. Anzi, tutt’altro. Facemmo uno splendido campionato, sfociato nella promozione del 1979. Il nostro ritorno in A non venne quasi mai messo in discussione. E per giunta, come dicevo prima, la società ottenne tanto con poco, perché non aveva certo condotto una campagna acquisti da mille e una notte, ma aveva solo ritoccato chirurgicamente la rosa.
Ricordo che era emozionante vedere il Sant’Elia riempirsi ogni domenica: giocavamo regolarmente davanti a sessantamila spettatori. E la nostra era una squadra composta da amici, da ragazzi che si volevano bene, in un’epoca in cui nel calcio c’era ancora spazio per i sentimenti. Tanto è vero che ancora oggi ci sentiamo – e, quando possibile, ci vediamo – tra di noi.”
Dopo la promozione tiraste fuori dal cilindro un campionato sorprendente in serie A, ottenendo un settimo posto difficilmente pronosticabile alla vigilia.
“Fu un’altra stagione entusiasmante: sfiorammo la qualificazione in Coppa Uefa, tra l’altro mantenendo l’ossatura base della squadra che era salita dalla B. Poi iniziai anche il secondo anno in serie A – campionato 1980-’81 – ma in autunno arrivò la proposta dell’ambizioso Bari del presidente Antonio Matarrese, che puntava alla promozione. Alla fine accettai il trasferimento, ma non perché volessi andarmene: tutt’altro. Al Cagliari venne offerta una discreta cifra, che alle casse rossoblù faceva molto comodo. Siccome l’intenzione del club sardo era quella di incassare quella cifra, alla fine io approdai al Bari. Ma devo ammettere che si trattò di qualcosa di simile a una forzatura: se ne avessi avuto la possibilità, avrei firmato per rimanere a vita nel Cagliari.”
Dal punto di vista tecnico come descriverebbe il suo Cagliari? Che tipo di calcio giocava?
“Allora si giocava rigorosamente a uomo. Tiddia, il nostro allenatore, non avrà fatto chissà quale carriera al di fuori dell’esperienza sulla panchina rossoblù, ma con noi era come un genitore o un fratello maggiore. Persona serissima, aveva costruito un gruppo coeso e affiatato. E poi ci metteva tanto del suo anche quel gigante che rispondeva al nome di Gigi Riva: bastava un suo sguardo per sistemare tutto, per rimettere le cose a posto. Aveva un grande carisma. La sua è stata una figura chiave per la nostra squadra.
Tatticamente in quel periodo molte formazioni praticavano un calcio difensivistico. Noi invece giocavamo col libero staccato, che era nientedimeno che Mario Brugnera: uno che veniva dal centrocampo, e che sapeva impostare da dietro come si fa oggigiorno. Dico di più: nel calcio attuale Brugnera, che disponeva di due piedi sopraffini, sarebbe un mago dell’impostazione da dietro. Mi trovavo benissimo con lui: sui palloni alti magari mettevo io una pezza, perché ero bravo di testa, ma dal punto di vista tecnico comandava lui la difesa. Intendiamoci: Mario si concedeva il lusso di fare dei tunnel all’interno della sua area di rigore… Quando ero in difficoltà passavo sempre la palla a lui, che risolveva brillantemente ogni situazione. Anche la più intricata.”
Roberto, segue ancora il Cagliari?
“Ho seguito gli ultimi due anni, con la promozione e la successiva salvezza sotto la guida di Ranieri. In particolare la permanenza in serie A conquistata nell’ultima stagione è stata un capolavoro di compattezza e di unione di intenti. E poi la tifoseria cagliaritana, unica in Italia, ha giocato un ruolo determinante nel trascinare i ragazzi verso il traguardo.
So che i tifosi vorrebbero alzare l’asticella. La domanda è: ora come ora la società rossoblù è destinata a fare solo dei campionati di bassa classifica? Non lo so. Mi auguro che le cose possano andare diversamente. Però è anche vero che, sebbene la squadra lotti tutti gli anni per la salvezza, comunque milita in serie A. Per cui credo che i tifosi debbano essere soddisfatti di quello che loro hanno dato al Cagliari – cioè tantissimo – e anche, tutto sommato, di quello che hanno ricevuto in cambio. Sarebbe bello soffrire di meno, ma bisogna fare i conti anche con i bilanci e con le possibilità economiche della proprietà.”