ESCLUSIVA TC - MASSIMO RASTELLI: "Il mio Cagliari d'assalto che giocava senza paura. Mi dispiace che qualcuno ricordi solo le goleade subite in A, a fronte di tante vittorie. L'esonero del 2017? Anch'io avrei potuto portare i rossoblù alla salvezza"

ESCLUSIVA TC - MASSIMO RASTELLI: "Il mio Cagliari d'assalto che giocava senza paura. Mi dispiace che qualcuno ricordi solo le goleade subite in A, a fronte di tante vittorie. L'esonero del 2017? Anch'io avrei potuto portare i rossoblù alla salvezza"TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
giovedì 27 luglio 2023, 19:45Primo piano
di Matteo Bordiga

È stato il tecnico che, dopo la devastante retrocessione della stagione 2014-2015, ha riportato immediatamente il Cagliari tra le grandi del calcio italiano (vincendo tra l’altro il campionato cadetto), conquistando poi un undicesimo posto in massima divisione. Risultato che, dai tempi di Allegri e dunque entro gli ultimi quindici anni, resiste ancora come miglior piazzamento del sodalizio rossoblù nella categoria regina.

Il suo addio alla società isolana nell’annata successiva, culminata nell’esonero dopo due vittorie e sei sconfitte nelle prime otto giornate, ha fatto discutere e scontrare sostenitori e detrattori. E ha fatto scrivere fiumi di inchiostro.

A distanza di sei anni Massimo Rastelli azzarda un bilancio definitivo sulla sua esperienza in Sardegna, esaminando meriti, virtù, criticità e controversie di una gestione che, comunque la si voglia giudicare, resta una delle più brillanti degli ultimi tempi sotto il profilo dei risultati conseguiti sul campo.

Massimo, torniamo indietro nel tempo. Nel 2015 Giulini, deluso per la bruciante retrocessione appena maturata, la chiamò alla guida del Cagliari con un unico, chiarissimo obiettivo: riconquistare subito la serie A.

“Io avevo fatto molto bene ad Avellino nei tre anni precedenti, e il presidente mi offrì l’opportunità di allenare una squadra storica e di grande tradizione come quella rossoblù. L’obiettivo era certamente quello di tornare dopo una sola stagione in A: ci sedemmo a tavolino col direttore Capozucca e individuammo i profili tecnici a nostro avviso adatti a compiere quella missione. Alcuni giocatori retrocessi l’anno prima vennero confermati, perché desiderosi di riscattarsi subito e fortemente motivati, mentre altri vennero acquistati dalla serie B per completare l’organico. Indicai a Capozucca alcuni calciatori che avevo affrontato in cadetteria negli anni precedenti e che mi avevano fatto una buona impressione: li acquistammo, dunque, con cognizione di causa. Erano elementi di spessore e di categoria, ai quali affiancammo – appunto – i reduci dalla serie A.”

E le cose andarono per il meglio: il campionato di serie B venne condotto con autorevolezza e la promozione arrivò come inevitabile conseguenza. Unica eccezione, un periodo di crisi vissuto nel girone di ritorno, in cui si perse qualche partita di troppo considerata la qualità dell’organico di cui disponevate.

“Il periodo complicato arrivò a cavallo di marzo e aprile, causato anche da alcuni infortuni – soprattutto a centrocampo – che ci misero un po’ in difficoltà. Tuttavia, mi pare di poter dire che la serie A non sia mai stata messa in discussione. Ci fu da lottare fino all’ultimo per il primo posto in classifica, che ci era conteso dal Crotone: fortunatamente alla fine prevalemmo.

La squadra era ricca di qualità e aveva un atteggiamento molto offensivo, perché giocavamo con una mezzala che si inseriva spesso e volentieri e col trequartista dietro le due punte. Tuttavia fummo bravi a trovare un buon equilibrio tattico, grazie anche all’idea di affiancare – a un certo punto della stagione – Fossati a Di Gennaro. La soluzione del ‘doppio regista’ a centrocampo ci consentì, grazie all’abilità in fase di copertura di Fossati, di trovare un assetto che proteggesse maggiormente la linea difensiva quando non avevamo il pallone tra i piedi. Di Gennaro era più votato all’impostazione, Fossati all’interdizione. L’utilizzo contemporaneo dei due dava equilibrio al centrocampo e in generale a tutta la squadra.

Naturalmente i movimenti erano collettivi, ed eseguiti dall’intera squadra in maniera armoniosa e corale. Eravamo bravi a pressare alti i nostri avversari e, quando non ci riuscivamo, ci ricompattavamo subito all’indietro cercando di fare densità. In generale, i miei giocatori erano abili a interpretare in modo corretto le varie fasi di gioco.”

Veniamo all’anno del grande salto. Campionato 2016-2017: il ritorno in serie A. Una stagione segnata dall’undicesimo posto finale – risultato senz’altro gratificante – e da un gioco sempre molto offensivo. L’attacco era guidato da Borriello, uno dei tanti rinforzi ingaggiati dalla società (assieme a Padoin, Bruno Alves e Isla) con l’obiettivo di costruire una rosa competitiva.

“Quell’anno fu molto bravo Capozucca a individuare quei quattro-cinque giocatori di spessore che potessero aiutare i tanti che la serie A non l’avevano mai fatta, dando un importante contributo in termini d’esperienza e di personalità.

Dal punto di vista tattico cercai semplicemente di portare avanti la mentalità che ci aveva contraddistinto in serie B. Conscio ovviamente delle difficoltà che avrei incontrato in una categoria diversa. Ma poi fu proprio quella mentalità a consentirci di vincere tante partite, ben 14: ottenemmo lo scalpo di un paio di avversari di prestigio – penso ai successi contro Inter e Milan – ma soprattutto vincemmo quasi tutte le gare che contavano davvero per la salvezza. In questo modo non ci trovammo mai invischiati nei quartieri bassi della graduatoria, ma stazionammo sempre a ridosso della decima-dodicesima posizione. Tra l’altro, se ci fosse stato il VAR a Genova contro la Sampdoria – dove Ibarbo nel finale aveva segnato un gol regolare – alla fine saremmo arrivati proprio decimi: l’obiettivo dichiarato del presidente.”

La stagione fu contraddistinta anche da una caratteristica particolare: l’alternanza di vittorie “pesanti” e di sconfitte molto larghe, rimaste anche quelle – così come i successi – nella memoria dei tifosi. Tatticamente e psicologicamente come si spiegano le numerose goleade subite, contrapposte alle prestazioni brillanti e convincenti che la squadra spesso offriva?

“Diciamo che nel nostro periodo migliore, seguito alla grande vittoria di San Siro contro l’Inter, incappammo in una serie di gare molto sfortunate, in cui fummo penalizzati anche al di là dei nostri demeriti. In alcune circostanze veramente incassammo quattro-cinque tiri in porta e altrettanti gol: accadde ad esempio contro la Fiorentina al Sant’Elia e contro il Torino in trasferta. Poi magari anche noi, avendo quel tipo di mentalità aggressiva, a volte ci facevamo prendere dalla voglia di recuperare subito il risultato e, anziché mantenere uno svantaggio minimo per poi aspettare gli ultimi minuti di gara e lanciare l’assalto, ci sbilanciavamo subito, esponendoci ai colpi di avversari di grande qualità. In quelle circostanze mancò forse un po’ d’esperienza, anche da parte mia.  

Mi dispiace però che, soprattutto all’epoca, siano state troppo spesso enfatizzate quelle sconfitte a fronte delle tante vittorie ottenute. Alla fine dei conti andrebbe anche ricordato che giocavamo un calcio piacevole e propositivo, creando tante occasioni in ogni partita. È poi vero che nel girone di ritorno, memori di alcune lezioni precedentemente subite, aggiustammo un po’ il tiro e adottammo un atteggiamento più prudente. Non a caso, a parte la gara col Sassuolo, non prendemmo più imbarcate. Per dirla in termini tattici, in fase di non possesso modificavamo il classico 4-3-1-2 in un 4-3-2-1, per avere più copertura del campo in ampiezza. Magari mettevamo Joao Pedro a fare il trequartista da una parte, Farias dall’altra e Borriello davanti. In questo modo anche gli uomini offensivi garantivano maggiore protezione al resto della squadra.”

La stagione seguente, 2017-2018, purtroppo non andò bene. Dopo sole otto giornate arrivò l’esonero. Cosa si rimprovera lei, se ha qualcosa da rimproverarsi, e cosa invece proprio non funzionò quell’anno?

“Io sono abituato a essere molto onesto con me stesso e, di conseguenza, ad assumermi sempre le mie responsabilità. La verità è che quell’anno la squadra si era indebolita rispetto alla stagione precedente. Avevamo perso Isla, Bruno Alves, Borriello, Tachtsidis: quattro uomini non solo di spessore tecnico, ma anche di personalità. I rimpiazzi non avevano la stessa qualità. Detto questo, se non erro alla fine quel Cagliari – con un altro allenatore – si salvò all’ultima giornata: ecco, quello era esattamente l’obiettivo che mi aveva fissato la società al momento del rinnovo del contratto. Proprio per questo motivo ancora oggi, quando mi capita di parlare col presidente, sottolineo che forse avrei meritato, alla luce di quello che avevo fatto negli anni precedenti, di poter condurre i rossoblù fino alla salvezza. Aggiustando in corsa, come ero sempre stato capace di fare, le cose che non funzionavano. Invece si preferì cambiare. Ma anche io avrei potuto ottenere quello stesso risultato, se mi fosse stata data fiducia nel momento in cui la squadra non girava.”

Massimo, veniamo all’attualità. Lei oggi è il tecnico dell’Avellino, ma sicuramente continua a seguire il calcio di serie A. Il Cagliari è stato promosso in maniera rocambolesca ed elettrizzante al termine della corrida di Bari. Quali possono essere le prospettive del club isolano nell’immediato futuro?

“Io conosco perfettamente le intenzioni e la volontà del presidente Giulini. Lui ha ben stampato in mente l’obiettivo di portare il Cagliari il più in alto possibile. Nel corso del cammino c’è stato qualche incidente di percorso, che fa parte del nostro mestiere. Ora, seguendo le indicazioni di Ranieri credo si possa allestire un team in grado di reggere l’urto con la nuova categoria e di fare un campionato sereno, senza troppi patemi d’animo.

La piazza cagliaritana meriterebbe grandi soddisfazioni. Mi spingo più in là: meriterebbe di stare stabilmente ai vertici del calcio italiano. Ma capisco che il percorso, specie dopo una retrocessione, debba essere lungo e faticoso. Per adesso l’importante sarà mantenere la categoria, senza assilli o proclami di sorta. Poi si costruiranno le basi per un futuro più radioso.”